La riforma pensioni sembra passata in secondo piano con lo scoppio della crisi in Ucraina. Le attenzioni sono tutte rivolte alla politica estera e comunitaria, ma il fronte interno rivendica soluzioni al problema.
Il confronto fra governo e sindacati sembra essersi fermato, ma intanto il tempo passa e c’è il rischio che si arrivi a fine anno senza aver risolto ancora nulla. I lavoratori nel frattempo attendo di sapere del loro futuro.
Riforma pensioni e flessibilità
Come noto, il premier Draghi è stato chiaro sulla riforma pensioni: “va bene tutto, purché sia sostenibile finanziariamente”.
Il crollo demografico e il sistema di calcolo retributivo delle rendite pesa molto sulla sostenibilità dei conti. Inoltre, di recente l’Inps ha fatto sapere, anticipando la chiusura del bilancio 2021 con un rosso da oltre 20 miliardi, che “il sistema non regge con soli 23 milioni di occupati”.
Serve quindi flessibilità in uscita. Ma cosa significa esattamente? In altre parole, penalizzazione per chi vuole andare in pensione prima dei 67 anni previsti dalla Fornero. Posto anche che i requisiti del pensionamento ordinario non saranno toccati.
Tre vie per lasciare il lavoro in anticipo
Le proposte per superare lo scoglio ci sono, ma non trovano per ora rispondenza con le esigenze dei sindacati che vorrebbero la pensione a 62 anni per tutti o con 41 anni di contributi versato indipendentemente dall’età.
L’inps propone la pensione anticipata in due tranches con la liquidazione della pensione a 63 anni per la parte contributiva maturata e poi a 67 anni con il pagamento della restante parte retributiva.
Raitano, economista esperto di previdenza, avanza invece l’idea di mandare tutti in pensione con una penalizzazione del 3% della pensione per ogni anno di anticipo rispetto ai 67 previsti dalla vecchiaia.
Infine c’è la proposta del governo di concedere l’uscita anticipata a 64 anni di età ma con il ricalcolo contributivo della pensione.