Conviene lavorare ancora e rimandare la pensione anche se arrivati a 42,10 anni di contributi?

Come capire se conviene o meno lavorare ancora nonostante i 42 anni e 10 mesi utili alla pensione anticipata sono stati già raggiunti.
1 anno fa
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pensione anticipata 2024
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Se partiamo dalla considerazione che molti reputano le pensioni anticipate molto alte come soglia di contributi da racimolare, la domanda a cui cerchiamo di dare risposta oggi può sembrare assurda. Infatti vedremo se conviene lavorare ancora e rimandare la pensione anche se arrivati a 42,10 anni di contributi. Una domanda che molti si pongono. Perché si chiedono se guadagneranno una pensione più alta di molto rispetto a quella che si prenderebbe subito. Ma anche perché molti hanno paura che alla fine si perdano dei soldi, con contributi oltre i 42,10, che non valgono per la pensione.

Dubbi leciti, come quello di un nostro lettore.

“Volevo sapere se lavorando oltre i 42 anni e 10 mesi, l’aumento di contributi produca effetti positivi sulla pensione. Io ormai sono arrivato a questa carriera e potrei andare in pensione. Ma non faccio un lavoro pesante e sarei tentato di restare a lavorare. Ho una sorta di paura a smettere dopo tanti anni di abitudine a questo genere di attività. Ma non vorrei gettare via soldi di contributi. Se invece questi anni di lavoro extra mi concedono un aumento consistente della pensione allora sarei tentato di dare seguito a questo mio pensiero.”

Conviene lavorare ancora e rimandare la pensione anche se si è arrivati a 42,10 anni di contributi?

In Italia, e sarà così fino al 31 dicembre 2026, i 42 anni e 10 mesi di contributi rappresentano la soglia massima dei contributi che permettono di accedere alla pensione anticipata ordinaria. Ma solo per gli uomini, perché per le donne il limite è fissato a 41 anni e 10 mesi. Si tratta quindi di quello che può essere considerato il massimo contributivo odierno. Questo però non vuol dire che a questa soglia, che permette di accedere alla pensione senza alcun limite anagrafico, un lavoratore debba smettere per forza di lavorare. Non esiste una norma che imponga questa scelta, cioè una cessazione automatica dal servizio.

A tal punto che ci sono lavoratori che non si accontentano di aver raggiunto questa soglia. E non stanchi di lavorare pensano a proseguire la carriera.

Uno di questi è il lettore del nostro quesito odierno. Vuoi per una sorta di psicologica paura di invecchiare, oppure per una semplice questione di convenienza economica, molti pensano a proseguire l’attività più che al pensionamento. Soprattutto chi si trova ad aver raggiunto questa ragguardevole carriera contributiva, piuttosto presto.

Ecco perché non sempre conviene restare al lavoro una volta superato il massimo contributivo previsto

In Italia non c’è una misura che ha una soglia contributiva più alta di quella prevista per le pensioni anticipate. E non potrebbe essere diversamente dal momento che si tratta di una pensione che viene assegnata a un lavoratore, senza badare in alcun modo al limite di età. Chi per esempio ha iniziato a lavorare a 17 anni e ha continuato stabilmente a versare contributi, rischia di trovarsi a 60 anni con 43 anni di contributi. E tutto si può dire tranne che 60 anni, soprattutto per determinate attività lavorative, sia una età dove sarebbe opportuno smettere di lavorare. In alcuni casi però, continuare a versare contributi non alza l’importo della pensione. E questo è già il primo fattore da considerare per quanti vorrebbero permanere in servizio.

Ci sono regole di calcolo che sono meno convenienti nel momento in cui un lavoratore ha già raggiunto la soglia massima di contributi prevista. Chi vuole continuare a lavorare per arrivare a garantirsi una pensione più alta, potrebbe quindi restare di sasso considerando che questo non accade.

Come funziona la regola del doppio calcolo della pensione e quando il contributivo è meglio del retributivo

In gergo tecnico si chiama regola del doppio calcolo e riguarda determinati lavoratori che subirebbero una sorta di perdita dal calcolo della pensione in casi come quelli prima citati.

Si tratta nello specifico dei lavoratori che ricadono nel sistema misto e che hanno oltre 18 anni di contributi già accumulati alla data del 31 dicembre 1995. Per questi le regole di calcolo vogliono la pensione calcolata con il favorevole sistema retributivo fino al 31 dicembre 2011. In questo caso la pensione potrebbe essere penalizzata se si continua a lavorare oltre i 42 anni e 10 mesi. Perché la regola del doppio calcolo assegna al pensionato il trattamento meno favorevole tra quello calcolato con il retributivo totale e quello calcolato con il contributivo a partire dal 2012.

Nel sistema retributivo il calcolo della pensione finisce ai 42 anni e 10 mesi. Cosa che evidentemente non accade nel retributivo. Infatti con questo calcolo, basato sul montante dei contributi più si versa più si prende di pensione. E valgono anche i contributi successivi ai primi 42 anni e 10 mesi. Anche se è un caso limite, grazie a questo doppio calcolo esiste la possibilità che una pensione calcolata solo con il sistema contributivo sia superiore di importo a quella retributiva. E in questo caso il surplus di contributi versati, da momento che l’INPS eroga il trattamento meno favorevole al pensionato, risulterebbe superfluo.

 

Giacomo Mazzarella

In Investireoggi dal 2022 è una firma fissa nella sezione Fisco del giornale, con guide, approfondimenti e risposte ai quesiti dei lettori.
Operatore di Patronato e CAF, esperto di pensioni, lavoro e fisco.
Appassionato di scrittura unisce il lavoro nel suo studio professionale con le collaborazioni con diverse testate e siti.

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