Non c’è stata l’impennata temuta, ma il prezzo del petrolio è rincarato di circa 4 dollari al barile dopo che l’OPEC ha annunciato il taglio dell’offerta per 1 milione di barili al giorno sin dal mese di maggio. Le argomentazioni sono solo formalmente di mercato, quando in verità il cartello sta cercando di colpire l’Occidente per il suo sostegno all’Ucraina contro la Russia e, al contempo, ne approfitta per tenere le entrate petrolifere elevate. Una riedizione della crisi petrolifera del 1973 dopo la guerra dello Yom Kippur tra Israele da un lato ed Egitto e Siria dall’altro.
C’è da dire che il prezzo del petrolio è tornato a correre dalla seconda metà di marzo. Il Brent aveva raggiunto il minimo sotto i 73 dollari al barile il 17 marzo scorso, mentre da allora è risalito di 13 dollari, cioè del 18%. In meno di tre settimane, lo scenario si è evoluto abbastanza sfavorevolmente agli automobilisti. Ecco l’impatto sul caro carburante. In questo frangente, per nostra fortuna almeno il cambio euro-dollaro si è un po’ apprezzato, salendo da 1,066 a sopra 1,09.
Il rincaro effettivo è stato limitato, quindi, a quasi 10,50 euro al barile. E poiché in un barile ci sono 159 litri di greggio, possiamo stimare l’aggravio in 6,5 centesimi al litro. Aggiunta l’IVA del 22%, fanno +8 centesimi. Questo sarebbe il maggiore costo alla pompa di benzina e diesel. Su un pieno di 50 litri, sono 4 euro in più. E questi numeri fanno temere una nuova frenata nella discesa dell’inflazione in tutta l’Area Euro, la quale a sua volta provocherebbe la necessità di alzare i tassi d’interesse di più e per più tempo. Insomma, dall’inflazione stagnante alla recessione economica il passo è breve.
Carburante su, ma non su base annua
Purtuttavia, dovremmo considerare che un anno fa, il prezzo del petrolio stava nettamente sopra i 100 dollari al barili, pur a fronte di un cambio euro-dollaro di poco superiore a 1,10. In termini percentuali, saremmo oggi a circa -15/-16%. Dunque, il carburante costa un po’ di più di qualche settimana fa, ma molto meno di un anno fa. Il confronto con inizio aprile del 2022 continua a rivelarsi favorevole, consentendo all’inflazione tendenziale di scendere, ceteris paribus.
Ma c’è una ragione se non abbiamo finora assistito a un’isteria sui mercati dopo l’annuncio a sorpresa dell’OPEC. Da un lato, avremo minore offerta, dall’altro rischiamo di avere anche una minore domanda di petrolio. In fondo, formalmente è stata questa la giustificazione data dal cartello a guida saudita. I minori consumi risentirebbero dell’aria di crisi che tira tra le grandi economie. Stati Uniti ed Europa sono a rischio recessione. La differenza la farebbe la Cina, che dopo la fine delle restrizioni anti-Covid si accingerebbe a crescere di almeno il 5%. Solo che la seconda economia mondiale è una potenza esportatrice e per crescere ha bisogno che i paesi clienti comprino. In una congiuntura negativa, ciò non avverrebbe e, quindi, anche l’Asia subirebbe i contraccolpi della frenata in Occidente.
Altro aspetto da tenere sotto controllo è il rapporto tra quotazioni petrolifere e cambio euro-dollaro. Se le prime salissero meno del secondo, il saldo netto per noi consumatori europei sarebbe positivo. Il carburante ci costerebbe un po’ meno. E ciò si verificherebbe nel caso in cui la Federal Reserve cessasse la stretta monetaria, mentre la Banca Centrale Europea fosse costretta a portarla avanti per un periodo prolungato, riducendo le distanze in tema di tassi d’interesse. Verosimile che lo stop al rialzo dei tassi sarebbe deciso dal governatore Jerome Powell per i timori verso l’economia americana e la stabilità finanziaria.