L’indice S&P 500 resta del 10% sotto i massimi storici toccati a febbraio a 6.144 punti, ma risulta già risalito dell’11% dai minimi toccati l’8 aprile scorso. La borsa americana non è più nella fase orso, definizione che si applica formalmente quando il mercato perde almeno un quinto del suo valore rispetto al picco. E’ ancora in fase di correzione, ma già da queste sedute potrebbe uscirne. La ripresa delle borse mondiali è stata evidente nell’ultima settimana, trainata dall’allentamento delle tensioni commerciali. L’amministrazione Trump ha compiuto qualche passo in avanti sui dazi, aprendo alle trattative con la Cina e di fatto auspicandole con l’Unione Europea.
E se si trattasse di una pura illusione ottica?
Ripresa delle borse, non solo umore degli investitori
La ripresa delle borse potrebbe non dipendere, se non in parte, dal migliorato umore degli investitori. Già nelle scorse settimane vi abbiamo parlato della leva che il Giappone ha nei confronti della Casa Bianca. Il presidente Donald Trump accusa Pechino e Tokyo in maniera esplicita di barare sui rispettivi cambi, tenendoli sottovalutati contro il dollaro. Malgrado le smentite, ne avrebbero discusso a quattr’occhi nei giorni scorsi il segretario al Tesoro, Scott Bessent, e il ministro delle Finanze nipponico, Katsunobu Kato.
Yen giù dai massimi
Lo yen si era rafforzato ai massimi da un anno e mezzo lo scorso 21 aprile, arrivando a scendere sotto 140 contro il dollaro. Da allora si è deprezzato di quasi il 2%, in linea con il trend globale che ha visto la ripresa non solo delle borse, ma anche del biglietto verde.
Trump chiede, in buona sostanza, che lo yen sia più forte. E perché ciò si avveri, la Banca del Giappone dovrebbe continuare ad alzare i tassi di interesse, saliti solamente allo 0,50%. Il board si riunisce mercoledì e giovedì di questa settimana e si prevede che lasci invariato il costo del denaro.
L’arma dei tassi è sul tavolo delle trattative, ma contrariamente a quanto immagina Trump, è nelle mani di Tokyo. L’inflazione in Giappone è scesa al 3,6% a marzo, restando ben sopra il target del 2%. Il dato “core” è salito dal 3% al 3,2%. Ve ne sarebbe per alzare i tassi. Se il governatore Kazuo Ueda accontentasse Washington, a rischio ci sarebbe proprio la ripresa delle borse. Gli acquisti a Wall Street avvengono in buona parte grazie ai capitali dal Sol Levante. E questi vi affluiscono in funzione di due variabili: cambio dollaro-yen e tassi. E’ il famoso “carry trade“ di cui vi abbiamo dato delucidazioni più e più volte.
Occhio ai salari giapponesi
Se i tassi in Giappone continuassero a salire, lo yen si rafforzerebbe e Trump sarebbe contento. Il problema è che lo resterebbe probabilmente per poco tempo. I capitali smetterebbero di spostarsi da Tokyo a New York e farebbero il viaggio inverso. A quel punto, addio ripresa delle borse.
La pressione sulla Casa Bianca per cambiare strategia sui dazi s’intensificherebbe e il potere negoziale degli Stati Uniti nei confronti dei partner stranieri si affievolirebbe.
Ed ecco la ragione per la quale la ripresa delle borse potrà proseguire o essere interrotta dall’evoluzione dei salari giapponesi. Questi sono cresciuti del 3,1% annuale nella media degli ultimi 6 mesi al febbraio scorso. Un’accelerazione segnalerebbe rischi al rialzo per l’inflazione e spingerebbe Ueda ad alzare i tassi. Un indebolimento ridurrebbe tale rischio e comprerebbe tempo per un nuovo rialzo dei tassi. Nel primo caso lo yen si rafforzerebbe, mentre nel secondo s’indebolirebbe nel breve periodo.
Ripresa delle borse appesa a dati macro
A Tokyo sperano che la crescita dei salari giapponesi rimanga solida per poter sperare in una traiettoria positiva per l’economia nazionale, specie ora che le esportazioni sono a rischio con la guerra dei dazi scatenata dagli USA. Ed è un dato a cui guardano con favore proprio gli americani, sottovalutando il rischio di sperare che l’albero su cui sono seduti cada. Per il momento il rendimento a 10 anni in Giappone è sceso di circa un quarto di punto percentuale dai massimi di fine marzo, quando aveva superato l’1,56%. Tutto sembra andare nella direzione auspicata per la ripresa delle borse mondiali. Ma resta un equilibrio fragile, dove un dato macro potrebbe far cambiare umore molto in fretta agli investitori dall’Estremo Oriente fino alla California.
giuseppe.timpone@investireoggi.it