Ieri, il prezzo del petrolio ha superato la soglia dei 70 dollari al barile. All’inizio dell’anno, viaggiava poco sopra i 50 dollari. Nel frattempo, pur scendendo dai massimi storici, il legname segna +52% quest’anno. E il Baltic Dry Index, che segnala i costi di trasporto delle merci via nave e sintetizza la vivacità degli scambi commerciali, guadagna il 117%. Per la ripresa economica globale, numeri che denotano certamente una risalita dagli abissi a cui la pandemia aveva scaraventato la domanda nel corso del 2020.
Sono diversi i fattori che stanno incidendo sui rincari generalizzati. Anzitutto, la mancata ripresa della produzione. E’ vero, le restrizioni anti-Covid sono state perlopiù allentate ovunque, ma non si è tornati ai livelli di inizio 2020. E verosimilmente non si riacciufferanno quei livelli per qualche anno ancora. Le compagnie aeree prevedono di tornare al numero dei passeggeri del 2019 solamente nel 2024.
Il mercato petrolifero, poi, non è caratterizzato da un eccesso di domanda in questa fase. Al contrario, gli stati dell’OPEC Plus hanno tagliato la loro offerta e stanno ripristinandola molto gradualmente. Per non parlare del problema dei problemi di questa fase: la carenza di chip. Tra produzione a rilento, ripresa della domanda prima del previsto e rastrellamento nei mesi scorsi da parte di un colosso come Huawei, non si trovano a sufficienza. E il punto qui non è tanto che salgono i prezzi, perlopiù dall’incidenza irrisoria per la produzione di beni come auto, dispositivi elettronici o elettrodomestici; il fatto è che mancando, i piani di produzione devono essere rinviati. Il solo comparto automobilistico registrerebbe perdite per quest’anno nell’ordine dei 110 miliardi di dollari con quasi 5 milioni di vetture in meno prodotte.
Ripresa economica frenata dal rischio inflazione
Questo è un esempio di come il boom dei prezzi si traduca in un rallentamento della ripresa economica globale.
La batosta che arriva dal legname, ad esempio, sta già mettendo in allarme la carpenteria e la filiera del mobile. In una fase di crisi come questa, tutto puoi chiedere ai consumatori, fuorché di pagare molto di più un prodotto rispetto a qualche mese fa. Eppure, non ci sono alternative. Ecco perché la ripresa economica rischia di deragliare prima ancora di partire. Oltretutto, con un’inflazione già sopra il 4% negli USA e all’1,6% nell’Eurozona, le banche centrali si sono viste ridotti i margini di manovra per le loro rispettive politiche monetarie. Di questo passo, è già un miracolo se riusciranno a non alzare i tassi d’interesse da qui a breve. Sarebbe un tiro mancino per il settore del credito. Verrebbero meno molti investimenti, proprio nel momento in cui servono per riattivare le economie.
Senza girarci molto attorno, è evidente che il boom dei prezzi delle materie prime risenta anche e, in alcuni casi, soprattutto degli eccessivi stimoli monetari e fiscali varati in questi mesi. C’è un eccesso di liquidità sui mercati, che ha favorito il boom azionario prima, il collasso dei rendimenti obbligazionari subito dopo e che adesso sta contagiando le “commodities”. Il mercato scommette al rialzo su tutto e, avendo già a che fare con prezzi inflazionati per gli assets finanziari, da mesi ha posto nel mirino dal petrolio al caffè, dalla legna al rame, dall’acciaio alla farina.