Quando sembravano essere relegate al passato, le riserve auree sono tornate a infiammare il dibattito pubblico. L’occasione è stata la querelle all’interno del governo Conte sulla nomina del vice-direttore della Banca d’Italia, Luigi Federico Signorini, a cui i due vice-premier Luigi Di Maio e Matteo Salvini vorrebbero negare un secondo mandato. Una delle principali speculazioni sulla loro mossa riguarda la presunta volontà dei due di mettere mano sull’oro di Palazzo Koch, pari a 2.452 tonnellate. Trattasi perlopiù di lingotti e per il resto di monete, accumulati particolarmente dal Secondo Dopoguerra, quando l’Italia diventò una potenza esportatrice e nel giro di qualche decennio convertì gli avanzi commerciali in oro.
L’oro di Bankitalia appartiene al popolo, ecco come va preservato e messo a frutto
Le riserve auree italiane sono le terze più grandi al mondo dopo quelle di Federal Reserve e Bundesbank. Proviamo a capire, se fossero utilizzate a garanzia del debito pubblico, quanto inciderebbero sui conti pubblici, effettuando un confronto con alcune delle principali economie mondiali.
Quanto valgono le riserve auree
L’oro di Bankitalia varrebbe, alle quotazioni attuali, poco più di 90 miliardi di euro. Come già spiegato in un altro articolo di questi giorni, equivarrebbero al 4% dello stock di debito pubblico. Non granché. E gli altri paesi? Iniziamo dalla Germania. Con 3.371 tonnellate, pari a 125,6 miliardi di euro, Berlino riuscirebbe a coprire il 6% del suo debito sovrano, più di Roma, per quanto sempre poco. La Francia di oro ne detiene 2.436 tonnellate, pari sempre a poco più di 90 miliardi, le quali riuscirebbero così a coprire un po’ meno del 4% del suo debito. E allargando l’orizzonte agli altri grandi stati europei, i numeri peggiorano drasticamente. La Spagna di oro ne ha meno di 282 tonnellate, pari a soli 10,5 miliardi di euro, capaci di coprire appena lo 0,9% del suo debito pubblico.
E il Regno Unito? 310,3 tonnellate, per un controvalore di meno di 10 miliardi di sterline, sufficienti a garantire lo 0,5% del suo stock debitorio. Spostandoci in America, che di oro ne possiede per 8.133 tonnellate, corrispondenti a circa 342,5 miliardi di dollari, la Federal Reserve non arriverebbe a garantire più dell’1,6% del debito pubblico a stelle e strisce, una percentuale di 2,5 volte più bassa di quella italiana. Il Giappone fa peggio: 765,2 tonnellate, già poche e che diventano minuscole a fronte di un debito pubblico pari a 2,5 volte il pil, il quale sarebbe così coperto solo per lo 0,3%.
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Il record svizzero sull’oro
Fin qui, abbiamo visto il rapporto tra riserve auree e debiti sovrani di alcune tra le grandi economie mondiali. Ve n’è una relativamente piccola, per quanto tra le più ricche, che di oro ne possiede molto. E’ la Svizzera, che con 1.040 tonnellate, di fatto ha a disposizione qualcosa come quasi 44 miliardi di franchi per una ipotetica copertura del suo debito. Poiché quest’ultimo è molto basso, non arrivando al 30% del pil, si ottiene che arriverebbe ad essere garantito tra un quinto e un quarto, ovvero per il 22,7%. La Svizzera sarebbe, dunque, l’unico stato al mondo che davvero potrebbe permettersi di utilizzare il metallo per segnalare maggiore solidità del suo debito, sebbene non ne abbia nemmeno bisogno, essendo i titoli che emette considerati un bene rifugio nel resto del mondo, grazie alla proverbiale stabilità e forza finanziaria del paese alpino.
Riserve di oro in caduta libera in Svizzera
E sempre la Svizzera svetta nel mondo per quantità di oro pro-capite, ottenuta suddividendo le riserve auree per la popolazione residente. Ogni elvetico ne possiede così formalmente 121,6 grammi, 3 volte tanto un tedesco e un italiano, che con circa 40,6 e 40,9 grammi a testa si collocano rispettivamente al terzo e al secondo posto.
Chiaramente, l’esercizio di cui sopra è semi-serio. L’oro non arriva a fungere da credibile garanzia per il debito nemmeno presso gli stati che ne posseggono molto, come nel caso dell’Italia, data la sproporzione tra i numeri in gioco. Parziale eccezione, come dicevamo, fa la Svizzera, il cui governo confederale potrebbe teoricamente emettere titoli garantiti per un primo 20-25% dalle riserve auree, accentuandone il carattere di porto sicuro contro le tensioni internazionali. Questa vicenda, però, ci interroga su quale possa essere l’utilizzo saggio di un asset, che da un lato appare ancora il più appetibile al mondo, dall’altro non sappiamo nessuno come sfruttarlo senza sprecarlo. Se non costituisce più la base per emettere moneta e non ha senso venderlo per finanziare spese in deficit dagli effetti puramente transitori, dovremmo trovare un modo per far sì che quelle migliaia di tonnellate si rivelino utili alla nostra economia.