La Magyar Nemzeti Bank, la banca centrale ungherese, ha da poco annunciato l’aumento delle riserve auree di altre 63 tonnellate a 94,5. Si è trattato del maggiore acquisto ad oggi ufficializzato per questi primi mesi del 2021 e il secondo più alto dal 2020 dopo la Turchia. Il precedente maxi-acquisto risaliva all’ottobre del 2018, quando l’istituto aveva rastrellato dalla Banca d’Inghilterra altre 28,4 tonnellate. E così, in appena due anni e mezzo, le riserve auree magiare sono salite da 3,1 a 94,5 miliardi, segnando un aumento di ben il 3.000%.
Grazie a queste operazioni, l’Ungheria è passata dal possedere le 87-esime riserve auree più alte al mondo fino all’ottobre del 2018 al salire in posizione 36. Dopo l’ultimo acquisto, l’incidenza del metallo sulle riserve valutarie totali sarebbe passata dal 4,7% a più del 14%. Non sappiamo, tuttavia, quando siano avvenuti tali acquisti. Possiamo presumere che le riserve auree siano state innalzate durante il mese scorso e magari sempre tramite la Banca d’Inghilterra. Se così fosse, il costo per la banca centrale di Budapest si sarebbe aggirato sui 3,5 miliardi di dollari. E sarebbe stato un buon affare, date le basse quotazioni recenti dell’oro, scese a una media di 1.720 dollari l’oncia a marzo.
Al momento, l’Ungheria risulta il paese con le più alte riserve auree pro-capite di tutta l’Europa centro-orientale con 0,31 once per abitante. Per capire la ragione alla base di queste operazioni, bisognerebbe leggere gli stessi comunicati della banca centrale:
L’oro è considerato uno degli assets più sicuri al mondo, le cui caratteristiche possono essere attribuite alle sue proprietà uniche come l’offerta limitata, l’assenza di rischi di credito e di controparte, dato che l’oro non è una rivendicazione verso uno specifico partner o stato.
Riserve auree, boom anche in Asia
Ma l’Ungheria non è l’unico stato che sta puntando sulle riserve valutarie.
Tornando all’Ungheria, non sappiamo se l’oro da poco acquistato sia stato già rimpatriato. E’ presumibile che lo sia e così come che a venderlo sia stata la Banca d’Inghilterra. Da essa di recente Budapest ha condotto anche operazioni di rimpatrio dei lingotti depositati a Londra per ragioni di sicurezza. Sta di fatto che i cosiddetti stati sovranisti si sono aggiunti a pieno titolo alla corsa alle riserve auree in atto da anni, specie in Asia. Turchia, Russia, Cina risultano tra i principali acquirenti. I numeri parlano chiaro: nel 2018 e nel 2019 si sono registrati i maggiori aumenti netti di oro della storia da parte delle banche centrali mondiali con rispettivamente 656 e 669 tonnellate. Di queste, 158 nella sola Russia nel 2019, ma tramite estrazioni domestiche e non acquisti.
Numeri, che ci raccontano di un clima tutt’altro che tranquillo tra i governatori centrali. Il boom globale di debito pubblico nell’ultimo decennio ha spinto le banche centrali a iniettare liquidità senza precedenti sui mercati finanziari, al fine di rendere sostenibili gli eccessi di spesa dei governi. Di conseguenza, gli assets si sono inflazionati a causa di una gigantesca bolla finanziaria che non ha risparmiato praticamente nessun comparto. Da qui, la necessità avvertita da diversi stati di rafforzare le riserve valutarie per garantirsi contro possibili futuri rischi di controparte e valutari.