Risiko bancario, addio al terzo polo: l’operazione di Orcel è un capolavoro o un rischio per l’Italia?

Con l'operazione annunciata da Andrea Orcel riparte il risiko bancario e non solo in Italia. Vediamo le possibili conseguenze per l'Italia.
1 mese fa
3 minuti di lettura
Riparte il risiko bancario
Riparte il risiko bancario © Licenza Creative Commons

In meno di quattro anni, la capitalizzazione in borsa di Unicredit è passata da circa 12,50 a 60 miliardi di euro. Valeva il 40% di Intesa Sanpaolo, mentre oggi l’ha quasi raggiunta a Piazza Affari. Ci sono stati certamente i tassi di interesse in crescita ad avere aiutato un po’ tutte le banche europee a fare utili e guadagnare valore in borsa. Tuttavia, i dati parlano chiaro: sotto la guida di Andrea Orcel, le azioni Unicredit sono esplose di oltre il 370% contro una media italiana del 160%.

E grazie al manager di Piazza Gae Aulenti riparte il risiko bancario, non solo in Italia.

Risiko bancario, numeri

Il dubbio che viene guardando ai numeri è che l’offerta di Unicredit per rilevare Banco BPM dia vita a un’eccessiva concentrazione sul mercato domestico. Il gruppo già detiene una quota superiore al 10% dei depositi bancari e degli stessi prestiti erogati sul territorio nazionale. Sommandovi i dati di Banco BPM, arriverebbe in entrambi i casi al 16-17%. Tenute in considerazione anche le quote di mercato del principale gruppo bancario, Intesa Sanpaolo, arriveremmo ad oltre il 35%. Includendo eventualmente MPS, la situazione che sarebbe che i primi due gruppi in Italia deterrebbero intorno al 40% del mercato.

Rischi da concentrazione di mercato

Dunque, il risiko bancario a chi giova? Quanto accaduto negli ultimi trenta anni può portare a una bocciatura dell’operazione Unicredit-Banco BPM. Man mano che le piccole banche legate ai territori sono state assorbite da banche più grandi, i prestiti all’economia reale (imprese e famiglie) si sono ridotti. E questo è accaduto particolarmente al Sud, un’area rimasta senza una propria banca. La perdita di legame con i territori è stata un fattore senza dubbio negativo per il tessuto imprenditoriale, trovatosi a corto di liquidità per finanziare i propri investimenti.

Verrebbe da dire, quindi, che il risiko bancario non faccia bene al sistema Italia.

Ma il punto è capire che non siamo più negli anni Novanta, quando il nanismo degli istituti italiani venne, non senza ottime ragioni, difeso dalla politica per il tramite di Banca d’Italia. L’obiettivo era evitare che colossi stranieri facessero razzie dei nostri sportelli per portarsi i risparmi all’estero, lasciandoci un deserto industriale. In buona parte è accaduto senza che neanche si siano prese le nostre banche. Ora, il problema è muoversi in anticipo per evitare che accada anche questo.

Tante piccole banche europee

In Europa ci sono tante banche, grandi nei contesti nazionali, ma marginali sul piano internazionale. In Germania la principale banca è Deutsche Bank, che in borsa vale la metà di Unicredit. La francese BNP Paribas capitalizza quanto Intesa Sanpaolo. Insomma, abbiamo tante realtà apparentemente giganti in patria, ma relativamente piccole quando si confrontano nel panorama mondiale. La necessità che aumentino le dimensioni medie è stata più volte reclamata dalla Banca Centrale Europea, non a caso favorevole alla scalata di Commerzbank da parte di Unicredit. Lo stesso Mario Draghi lo ha esplicitamente affermato nei giorni passati.

Qual è il rischio? Che si muovano per tempo le banche francesi, olandesi, ecc., per aggregarsi e fare shopping nel Bel Paese. I nostri 1.800 miliardi di euro di risparmi depositati in banca fanno tanta gola all’estero, anche perché risultano investiti solo in parte. I prestiti al settore privato ammontano a circa 1.400 miliardi. Già le banche italiane prestano meno denaro di quanto ne servirebbe per sostenere gli investimenti e i consumi di beni durevoli. Immaginate cosa accadrebbe se queste divenissero di proprietà straniera: i banchieri porterebbero i denari là dove conoscono meglio il tessuto produttivo per impiegarli.

Banche italiane da prede a predatrici

Con il risiko bancario avviato da Orcel stiamo avendo l’opportunità di ribaltare le parti in commedia.

Non siamo più noi ad essere predati, anzi siamo diventati predatori. L’operazione Unicredit-BPM porterebbe alla nascita di un colosso così grande da non poter essere scalato dall’estero. Già eviteremmo lo scenario peggiore. In più, avrebbe le spalle così larghe da potersi permettere di rilevare realtà minori all’estero, tra cui quella in corsa come la tedesca Commerzbank. Per una volta saremmo noi eventualmente a mettere le mani sui risparmi altrui, avendo potenzialmente la possibilità di impiegarli a beneficio della nostra economia.

Dobbiamo fare attenzione a non identificare le banche con gli interessi delle nazioni in cui hanno sede. Unicredit non ha e né può avere come obiettivo di sostenere l’economia italiana. La sua mission è produrre utili in favore degli azionisti. Se ciò coincidesse con l’interesse nazionale, ancora meglio per noi. In pratica, la banca presta denaro a coloro che possano restituirlo e facendolo rendere il più possibile. Le piccole dimensioni medie delle imprese italiane allontanano gli istituti di credito. Fatevi una domanda: prestereste i soldi a un colosso come Eni o alla minuscola azienda di Mario Rossi con 3 dipendenti e un fatturato di 100 mila euro all’anno?

Risiko bancario opportunità per l’Italia

Questo è per dire che il risiko bancario in sé rappresenta una grossa opportunità per rafforzare la nostra struttura bancario-assicurativa, sebbene non basti per affermare con certezza che si tradurrà in un beneficio per l’economia italiana. Ma perlomeno avremmo un lato del mercato nelle condizioni di fare la propria parte. Spetterebbe, poi, all’altra mostrarsi capace di utilizzare al meglio la fiducia richiesta. Orcel non sta lottando per rilanciare le sorti della nostra industria, ma le conseguenze delle sue azioni potrebbero portare un risultato simile.

[email protected] 

 

Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
Il suo motto è “Il lettore al centro grazie a una corretta informazione”; ogni suo articolo si pone la finalità di accrescerne le informazioni, affinché possa farsi un'idea dell'argomento trattato in piena autonomia.

Lascia un commento

Your email address will not be published.