I buoni fruttiferi postali sono un prodotto di investimento molto caro agli italiani. Questo perché è garantito dallo Stato e poi perché non comporta alcuna spesa. Le ultime news in merito a tali buoni riportate da Repubblica.it parlano di un contenzioso in atto tra Poste Italiane e i risparmiatori. Il motivo è sempre lo stesso: i tassi di interesse inferiori sui buoni emessi negli anni ’80 e ’90 dopo la serie O e la P (del 1981 e del 1984) rispetto alla serie precedente. Di seguito i dettagli.

Risparmiatori reclamo giusti interessi sui bfp

Nel cuneese è in atto una rivolta (ovviamente molto civile) tra i risparmiatori che si sono affidati all’avvocato esperto di diritto bancario Alberto Rizzo e Poste Italiane. L’oggetto della disputa sono i buoni fruttiferi postali emessi dopo quelli O del 1981 e quelli P del 1984. Parliamo di quelli della serie Q istituiti dal Tesoro nel 1986 con dei tassi inferiori rispetto a quelli precedenti non indicati però sui titoli.

L’emissione di ogni titolo andava dalle 50 mila lire ai 5 milioni di lire ed il tasso di interesse, come spiega Larepubblica.it, variava ogni 3-5 anni dal 9 al 15%. Poste Italiane, quindi, avvalendosi di una discussa norma del Codice Postale, applicava ai risparmiatori il tasso più sfavorevole. Questi ultimi l’hanno poi scoperto trent’anni dopo, una volta che si sono recati alle Poste per incassarli.

L’avvocato denuncia il fatto che le informazioni date da Poste sono state poche. Quando infatti i buoni furono sottoscritti non fu detto ai risparmiatori che i rendimenti promessi ovvero quelli riportati sul retro del bfp non erano garantiti dallo Stato in quanto quest’ultimo aveva il potere di modificarli in ogni momento.

I casi

Nel 1986 un decreto ha emanato la nuova serie di buoni fruttiferi postali “Q” con la variazione dei rendimenti promessi in passato. L’avvocato comunica che in quel frangente Poste Italiane ha utilizzato dei moduli prestampati sui quali si dovevano soltanto immettere i dati di ogni intestatario davanti e la data della sottoscrizione dietro.

Il problema rilevato da Rizzo è che l’azienda ha continuato però ad usare i modelli della serie P ed O che riportavano dietro i vecchi rendimenti. Venivano poi apposti i timbri davanti con la dicitura della nuova serie Q e dietro i nuovi rendimenti.

I timbri sono però risultati incompleti perché molte volte venivano riportati soltanto i rendimenti dei primi 20 anni. Questo significa che per quelli dal ventunesimo al trentesimo anno non doveva esserci alcuna modifica. Altre volte, invece, veniva dichiarato che i rendimenti potevano poi essere modificati nel tempo anche se la modifica era intervenuta in alcuni casi quattro o cinque anni prima.

Le conclusioni

L’avvocato Rizzo in merito ai casi su descritti ha deciso di rivolgersi come spiega Larepubblica.it all’Arbitro Bancario Finanziario per valutare ogni singolo caso. Si ricorda che il ricorso si può presentare fino a dieci anni dall’incasso. In merito a ciò ricordiamo che sia lo scorso febbraio 2019 che nel 2007 la Cassazione ha ammesso che la modifica in peggio dei rendimenti riportati sui buoni ci può essere ma soltanto per quelli con una data antecedente alla pubblicazione del Decreto del lontano ’86.

Per quelli che invece sono stati emessi dopo: deve valere il rendimento indicato sulla parte posteriore del titolo. L’avvocato Rizzo, quindi, denuncia il fatto che non si devono applicare i rendimenti più bassi della serie Q come Poste ha fatto se il buono è stato emesso dopo tale famoso decreto.

Leggete anche: Buoni fruttiferi postali: info modello Isee e modifica tassi interesse.

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