Il governo del cambiamento ha ricevuto il semaforo rosso dal Quirinale a causa del nome di Paolo Savona al Tesoro. L’economista sardo in passato ha criticato l’architettura europea e per questo motivo viene considerato come euroscettico. Negli ultimi giorni il suo Piano B, che prevede un’uscita dall’eurozona da parte dell’Italia, ha occupato le pagine dei maggiori quotidiani finanziari. In molti hanno dunque riproposto il tema del ritorno alla Lira, qualora l’Italia rinunciasse all’euro, con la probabile implosione dell’intera unione europea monetaria, dettaglio questo non trascurabile all’interno di un’analisi completa.
L’Italia paragonata ai Paesi del Sudamerica
Ritorno alla lira? No, grazie. In sintesi estrema è questa l’opinione del giornalista Marro di fronte allo scenario nostalgico del ritorno al vecchio conio. Nel crollo verticale tratteggiato subito dopo la teorica uscita dall’euro, l’Italia viene paragonata a Venezuela e Argentina. Le tinte sudamericane sono tetre, così come cupo sarebbe il destino per gli stipendi, i quali da una parte perderebbero di valore – così come le pensioni – di fronte ad un’inflazione a doppie cifre, dall’altra si assisterebbe ad una forte diminuzione di quest’ultimi, in uno scenario di forte aumento della disoccupazione causato dalla crisi del sistema imprese. I mutui e le bollette, al contrario, schizzerebbero alle stelle.
Ritorno alla Lira, no grazie
I primi, stipulati con l’euro, aumenterebbero a dismisura con la lira, la quale non potrebbe tenere il passo della moneta unica. Le bollette, invece, risentirebbero del fatto che l’Italia si troverebbe obbligata ad acquistare con una Lira svalutata sia l’elettricità che il gas, non essendo autosufficiente, con evidenti ripercussioni negative sui prezzi per i cittadini.
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