L’inganno di un ritorno alla lira contro l’austerità
Il ritorno alla lira tanto auspicato da formazioni “sovraniste” sarebbe, in effetti, un possibile antidoto al malgoverno, ma non per le ragioni addotte dai proponenti, bensì per quelle esattamente contrarie. Se i governi italiani dovessero pagare gli interessi davvero corrispondenti al rischio percepito dal mercato per il nostro debito sovrano, la loro incidenza sul pil s’impennerebbe e a Roma si sarebbe costretti a fare più austerità, non meno. E per convincere gli investitori stranieri, ma anche nazionali, a comprarsi i nostri titoli di stato, il Tesoro dovrebbe porre in atto una strategia concreta di medio-lungo periodo per l’abbattimento del rapporto debito/pil, attraverso un taglio drastico ai vari capitoli di spesa, roba che la spending review di cottarelliana memoria sarebbe persino ridicola.
Alla fine, anche il dilagare del populismo in salsa nostrana è frutto di una bolla, quella del credito e conseguente alla nascita dell’euro, adottando il quale l’Italia si era davvero convinta che ad un tratto sarebbe diventata credibile sui mercati finanziari al pari della Germania, potendo usufruire dei medesimi rendimenti sovrani, ma continuando a comportarsi come quando in tasca avevamo la lira. E il fallimento dell’euro sta tutto qua, nell’aver propinato la convinzione che buoni e cattivi sarebbero diventati uguali, che spendaccioni e virtuosi avrebbero potuto convivere senza che i primi cambiassero alcunché nel loro modo di gestire le finanze pubbliche. E’ vero, servirebbe il ritorno alla lira per l’Italia. Solo così sparirebbe in un attimo il piagnisteo contro l’austerità, che ad oggi nel nostro paese sarebbe solo una parola priva di significato pratico. (Leggi anche: Debito pubblico, austerità vera con aumento tassi)