Rivalutazione pensioni 2023, gli scaglioni raddoppiano da tre a sei

La rivalutazione delle pensioni dal 2023 cambia con gli scaglioni per gli assegni che raddoppiano a sei. Pro e contro la riforma.
2 anni fa
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Taglio pensioni dipendenti pubblici
Taglio pensioni dipendenti pubblici © Licenza Creative Commons

Ci sono diverse novità apportate con la manovra al sistema previdenziale. Una di queste riguarda la rivalutazione delle pensioni. Come sapete, ogni anno lo stato indicizza gli assegni al tasso d’inflazione. Per il 2022, il Ministero di economia e finanze ha stimato provvisoriamente un’inflazione del 7,3%. Sapremo se il calcolo sarà stato esatto solo dopo la fine di quest’anno. Eventuali differenze saranno regolate attraverso il conguaglio nel 2024, salvo anticipo, com’è avvenuto per questo mese di novembre.

Attuali e nuove fasce rivalutazione pensioni

La rivalutazione delle pensioni si ha fino al 31 dicembre di quest’anno al 100% dell’inflazione dell’anno precedente per gli assegni fino a 4 volte il trattamento minimo; al 90% per gli assegni tra 4 e 5 volte; al 75% per gli assegni sopra 5 volte.

Poiché il trattamento minimo per il 2021 fu fissato a 515,58 euro, le soglie per indicizzare gli assegni sono ad oggi rispettivamente:

  • fino a 2.062,32 euro;
  • tra 2.062,32 e 2.577,90 euro;
  • sopra 2.577,90 euro.

Ma dal 2023, come dicevamo, si cambia. La rivalutazione delle pensioni avverrà sulla base di sei scaglioni e non più tre. E la pensione minima salirà più dell’inflazione, dato che per essa l’indicizzazione sarà una tantum del 120% (+8,76%). Nel 2023, il suo importo sarà di 571,42 euro. Sulla base del 7,3% d’inflazione attesa, ecco quali saranno le fasce a cui prestare attenzione:

  • fino a 2.101,60 euro (4 volte la minima), rivalutazione del 100%;
  • tra 2.101,60 e 2.627 euro (4-5 volte la minima), rivalutazione dell’80%;
  • tra 2.627 e 3.152,40 euro (5-6 volte la minima), rivalutazione del 55%;
  • tra 3.152,40 e 4.203,20 euro (6-8 volte la minima), rivalutazione del 50%;
  • tra 4.203,20 e 5.254 euro (8-10 volte la minima), rivalutazione del 40%;
  • sopra 5.254 euro (sopra 10 volte la minima), rivalutazione del 35%.

Impatto su assegni alti

E’ evidente come cambi la rivalutazione delle pensioni: taglio per le pensioni sopra 4 volte il trattamento minimo. In cambio, dall’anno prossimo saranno maggiormente adeguati gli assegni più bassi. Cosa succede, ad esempio, a chi oggi percepisce un assegno mensile di 5.000 euro? Secondo i vecchi criteri, l’anno prossimo avrebbe dovuto ricevere un aumento di 317,86 euro.

Con i nuovi criteri, riceverà un aumento 266,81 euro, cioè 51,05 euro al mese in meno, perdendo 663,65 euro all’anno.

Pro e contro la riforma rivalutazione pensioni

Ci sono pareri ovviamente discordanti sulla riforma. Da un lato, c’è chi eccepisce che saranno penalizzati i beneficiari degli assegni più alti, i quali hanno versato più contributi durante la loro carriera lavorativa. Invece, ad essere favoriti sarebbero coloro che o hanno lavorato in nero o hanno lavorato poco o niente affatto.

D’altra parte, il legame assegni-contributi con il sistema retributivo è stato flebile. Gli assegni di maggiore importo sono stati perlopiù agganciati alle retribuzioni degli ultimi anni e sul piano strettamente contributivo risultano spesso ingiustificati per larga parte. Al contrario, i futuri pensionati con il contributivo puro riceveranno assegni nettamente inferiori e finanche insufficienti a vivere, dato che saranno erogati sulla base dei solo contributi versati. Una discriminazione inter-generazionale accentuata dall’assenza di integrazione al minimo.

Contributivi puri bomba sociale

Nei prossimi anni, il legislatore sarà chiamato a rivedere non tanto i soli meccanismi di rivalutazione delle pensioni, quanto la fissazione di assegni minimi congrui per evitare il dilagare della povertà tra i più anziani. Il ricalcolo degli assegni più alti oggi erogati con il sistema retributivo non sarebbe né giusto, né possibile. Trattasi di diritti acquisti e qualsiasi operazione che dovesse intaccarli sarebbe giudicata incostituzionale. Intervenire su di essi attraverso una deindicizzazione, però, non è affatto sbagliato.

C’è una parte della popolazione che ha goduto e continua a godere di criteri previdenziali più generosi per il calcolo degli assegni e quasi sempre è andata in pensione molti anni prima dell’attuale età pensionabile media effettiva. Che sia chiamata a contribuire a favore di chi non ha potuto e ancor meno in futuro potrà partecipare a tali benefici, è più che giusto.

Certo, sarebbe stato più equo colpire i soli assegni erogati con il metodo retributivo. Ma gli assegni medio-alti raramente risultano giustificati dai soli contributi.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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