L’Italia è sotto l’ombrellone, fisicamente o con la testa. La calura estiva, pur intermezzata (al Nord) da piogge e grandine, impone una pausa dalla quotidianità. Persino la premier Giorgia Meloni è in vacanza, in Puglia a Ceglie Messapica, per il quinto anno consecutivo. Ma i conti pubblici non si prendono le ferie. Entro settembre va redatta la legge di Bilancio per il 2025 da spedire alla Commissione europea. Come ogni anno, se non di più, la lista della spesa è lunghissima e le entrate fiscali non bastano mai a finanziarla.
Rivalutazione pensioni, criteri meno favorevoli dal 2023
Ogni anno gli assegni sono ricalcolati in base all’inflazione dell’anno precedente. Grazie a questo meccanismo, i pensionati tendono a non perdere potere di acquisto. Tuttavia, il metodo di calcolo prevede un recupero non integrale sopra determinati importi. E dal 2023, con la prima manovra di bilancio dell’era Meloni, i criteri sono divenuti meno favorevoli per i percettori di assegni medio-alti. Infatti, la rivalutazione delle pensioni è stata ridotta in percentuale per coloro che percepiscono importi superiori a quattro volte l’assegno minimo (534,41 euro nel 2024). Tanto per avere un’idea, sopra dieci volte il minimo si ottiene solamente un aumento pari al 22% del tasso d’inflazione.
E, attenzione, un’altra novità introdotta dal governo Meloni ha consistito nell’assoggettare l’intero importo ai nuovi scaglioni fissati. In pratica, chi percepisce un assegno per ipotesi pari a cinque volte il minimo, subirà una minore rivalutazione su tutto l’assegno e non solo sulla parte eccedente le quattro volte.
Favorite pensioni minime
Gli effetti della minore rivalutazione delle pensioni sono definitivi. Anche se il metodo di calcolo in futuro tornasse più favorevole ai percettori, sta di fatto che si applicherebbe su importi più bassi di quanto sarebbero dovuti essere sopra le quattro volte il minimo. C’è da dire, altresì, che la stragrande maggioranza dei pensionati percepisce assegni mensili sotto i 2.272,76 euro fissati per quest’anno come limite massimo per la piena rivalutazione. Ciò non toglie che i pensionati più “fortunati” si considerino taglieggiati dal governo. Infatti, da un lato ottengono un adeguamento più basso, dall’altro le pensioni minime vengono aumentate più dell’inflazione per tendere gradualmente a quei 1.000 euro al mese promessi in campagna elettorale da Silvio Berlusconi.
Queste misure darebbero il senso di uno stato pronto a premiare chi non ha lavorato o versato regolarmente i contributi, colpendo coloro che hanno, al contrario, tenuto in piedi la baracca tra imposte e contributi previdenziali. Vero è che molti assegni di importo medio-alto verrebbero ancora liquidati con il metodo retributivo, un sogno per i giovani di oggi e di domani. D’altra parte, la minore rivalutazione delle pensioni non tiene conto del metodo di calcolo dell’assegno e interviene con l’accetta su tutti.
Salvini insiste su Quota 41 per tutti
Fin qui stiamo parlando del passato. Dicevamo che il governo deve trovare risorse nel caso in cui Salvini s’intestardisse a portare avanti la battaglia su Quota 41 per tutti: possibilità per tutti i lavoratori di chiedere la pensione con 41 anni di contributi, indipendentemente dall’età anagrafica ed eventualmente a patto di percepire un assegno almeno pari o sopra un certo multiplo del minimo.
Sebbene l’impatto di Quota 41 per tutti fosse prevedibilmente minimo sui conti pubblici, l’Europa e i mercati starebbero ben attenti a verificare che la nostra spesa previdenziale non salga ulteriormente. Siamo già il secondo stato continentale dopo la Grecia per esborsi rispetto al Pil. Superiamo il 16% e tendenzialmente andremo verso un picco intorno al 17%. Questo significa che per ogni spicciolo in più speso, dal capitolo pensioni ne dovrà essere risparmiato un altro a copertura del primo. I saldi dovranno rimanere grosso modo inalterati.
Cambio metodo di calcolo rivalutazione pensioni?
Ecco perché Meloni prenderebbe in considerazione un’ipotesi, che è stata oggetto di studio del Cnel proprio su richiesta del governo. Consisterebbe nel mutare metodo di calcolo per la rivalutazione delle pensioni. L’aggancio non sarebbe più all’inflazione, bensì al deflatore del Pil. E qui ci rendiamo conto di entrare in un ambito tecnico indigesto ai più. Cos’è l’inflazione? L’aumento medio dei prezzi al consumo. Facile. E il deflatore del Pil? Partiamo dal Pil stesso. Esso misura la produzione di ricchezza di un’economia in un dato periodo (trimestre, anno). Si misura come la somma di tutti i beni e servizi prodotti e moltiplicati per i rispettivi prezzi.
Di anno in anno il Pil nominale varia per due ragioni: le imprese producono più o meno beni e servizi e i prezzi di vendita salgono o scendono. Per capire se una nazione stia producendo maggiore ricchezza reale, bisogna considerare il dato del Pil depurato dalle variazioni dei prezzi. In sostanza, dobbiamo ignorare l’inflazione del Pil o deflatore. C’è, però, una differenza tecnica tra questi e l’inflazione come l’abbiamo sopra definita.
Differenza tra deflatore Pil e inflazione
Cerchiamo di essere pratici. Qual è la differenza? Nell’inflazione rientrano tutti i prezzi dei beni e servizi acquistati, siano essi stati prodotti in Italia o all’estero. Il deflatore misura, invece, l’inflazione dei soli beni e servizi prodotti in Italia. Dunque, esclude dal calcolo i prezzi delle importazioni. Tendenzialmente, le due misure nel lungo periodo vanno a braccetto. Se salgono, ad esempio, i prezzi dei beni importati, vuoi per rincari veri e propri e/o per l’effetto cambio sfavorevole, prima o poi i costi impattano su tutto il paniere, quindi anche su beni e servizi prodotti in Italia. La minore/maggiore inflazione importata ricade sull’inflazione domestica.
I sindacati sono allarmati dal possibile cambio nel metodo di calcolo per la rivalutazione delle pensioni. Nel solo biennio 2022-2023, stimano, il deflatore del Pil è stato del 6% più basso dell’inflazione. Agganciando gli assegni al primo, eccepiscono, lo stato farebbe cassa sulle spalle dei pensionati. Prendete il dato esemplare del 2022: quell’anno il deflatore risultò di appena il 3,3% contro un’inflazione dell’8,1%. Se avessimo rivalutato gli assegni in base al primo, un importo di 1.000 euro sarebbe salito di 33 euro al mese, anziché di 81. Una differenza di 48 euro lordi, pari a 624 lordi all’anno, inclusa la tredicesima.
Biennio 2022-’23
Perché tanta differenza? Quell’anno l’inflazione esplose a causa del caro energia. Petrolio e gas, che importiamo quasi interamente dall’estero, s’impennarono di prezzo. Trattandosi di importazioni, non furono captati dal deflatore. Tuttavia, l’anno successivo le cose già cambiavano: deflatore al 5,34% e inflazione al 5,4%. Man mano che i rincari energetici si tradussero in bollette più alte e maggiori costi generalizzati, anche il deflatore del Pil schizzò in alto. Dunque, come abbiamo in estrema sintesi voluto dimostrare, la divergenza tra le due misure tende a rientrare nel medio-lungo termine.
Allungando l’orizzonte temporale al decennio passato, otteniamo un deflatore complessivo del 20,4% contro un’inflazione del 18,8%. Su base annua, un aumento dell’1,87% contro l’1,74%. Addirittura, il deflatore ha superato l’inflazione. Pertanto, i pensionati dovrebbero stare più tranquilli: la rivalutazione delle loro pensioni non subirebbe alla lunga alcuno scossone. Non esiste, anzi, a priori la possibilità di affermare che l’un metodo di calcolo sia loro più favorevole o sfavorevole neppure nel breve termine.
Rivalutazione pensioni, rischio boomerang per lo stato
E, tuttavia, se il governo sta ragionando di cambiarlo, evidentemente spera di risparmiare. Dunque, prevede che la principale fonte d’inflazione anche per i prossimi anni arrivi dalle importazioni, magari a causa di ulteriori tensioni geopolitiche con conseguenti ricadute non solo sull’energia, ma anche sui costi di produzione nel loro complesso per via del “reshoring” già in corso. In pratica, se le multinazionali fuggiranno dall’Asia per venire a produrre più in prossimità dei nostri mercati di sbocco, assisteremo a costi di importazione più alti e, dunque, a rincari generalizzati. Eppure non basta un simile ragionamento per giustificare dal punto di vista stesso dello stato un cambio di calcolo nella rivalutazione delle pensioni. Il rischio di boomerang è in agguato. Non è affatto detto che saranno i pensionati a rimetterci.