Qualche giorno fa, abbiamo analizzato il BTp a 30 anni, scadenza 1 settembre 2051 e cedola fissa 1,70% (ISIN: IT0005425233). In quell’occasione, abbiamo sottolineato che il rendimento lordo offerto dal titolo, per quanto in aumento negli ultimi mesi, resta profondamente sotto il tasso d’inflazione. Secondo il dato più recente dell’ISTAT, relativo al mese scorso, esso è del 2,6%.
Con l’1,65% netto, il BTp a 30 anni infliggerebbe all’obbligazionista una perdita teorica pari a circa l’1% all’anno. Se l’inflazione restasse al 2,6% da qui alla scadenza del bond, perderemmo qualcosa come quasi il 30% del capitale in termini reali.
A parte che per i prossimi mesi e anni, salvo sorprese negative dal mondo dell’economia, il trend dei prezzi per i titoli di stato è atteso ribassista e non rialzista, il problema che si pone è ben più nitido. Oggi come oggi, se il BTp a 30 anni salisse a una quotazione di 150, il suo rendimento lordo sarebbe zero. Ve lo dimostriamo subito: a 150, la minusvalenza accusata dall’obbligazionista alla scadenza sarebbe del 33% (50/150), che spalmata sui poco meno di 30 anni di durata dell’investimento, farebbe l’1,1% all’anno. A tale perdita si contrappone la cedola lorda, che rapportata al valore dell’investimento equivarrebbe anch’essa all’1,1% (1,7/150).
BTp a 30 anni a rendimento zero?
Ora, sarebbe come dire che il nostro lettore affermi di confidare che il BTp a 30 anni salga fino ad annullarsi di rendimento. Ne abbiamo viste tantissime sul mercato dei bond in questi ultimi anni e non ci sentiamo neppure più di escludere che un evento simile possa accadere in futuro. Ma al momento, una roba di questo genere accade solo per paesi come la Germania.
In tempi normali o giù di lì, comprereste mai un BTp a 30 anni a rendimento zero? Che senso avrebbe investire su un orizzonte temporale così lungo senza guadagnare nulla, anzi rimettendoci tra commissioni bancarie e imposta di bollo?