La robotizzazione dell’economia non fa dormire sonni tranquilli ai governi occidentali, le cui economie tecnologicamente avanzate starebbero per essere investite da un processo di sostituzione di massa del lavoro da parte delle macchine, con annessa eliminazione di milioni di occupati. Uno spirito neo-luddista sta prendendo piede nel dibattito pubblico, dove sempre più spesso emerge una crescente diffidenza verso la globalizzazione economica, in gran parte associata proprio con i robot che rubano il lavoro, specie quello meno qualificato. (Leggi anche: Lavoro e robot: traccia prima prova maturità 2017)
Tema complesso, su cui si addensano le analisi di economisti, politici e persino magnati.
Le preoccupazioni degli stessi ambienti del capitalismo
Più preoccupate le riflessioni di uno dei più grandi e ricchi investitori al mondo, l’americano Warren Buffett, il quale addita quale causa principale delle difficoltà dell’odierna economia mondiale proprio l’enorme concentrazione della ricchezza in mano a pochi individui. L’uomo, a capo del fondo Berkshire Hathaway, spiega che pur essendo l’economia americana in buona forma, tanto che il pil pro-capite negli USA dovrebbe crescere di 19.000 dollari all’anno nel giro di una generazione, esistono timori per le ripercussioni che avrebbe il progresso tecnologico su alcune fasce della popolazione, cosa che farebbe a volte male “al lavoratore dell’acciaieria nell’Ohio”. (Leggi anche: Rivoluzione in banca: con fintech denaro gestito da robot)
Poche settimane fa, Bill Gates, patron di Microsoft, è arrivato a proporre di tassare i robot, visto che ruberebbero lavoro.
Tecnologia e sviluppo (economico) vanno a braccetto
Per i più scettici, è opportuno fare mente locale su quanto sia accaduto negli ultimi decenni. Il boom della tecnologia dalla fine della Seconda Guerra Mondiale ad oggi non ha né ridotto il numero dei lavoratori, né aumentato la povertà. Prendiamo gli USA: nel 1970 tenevano occupate 64 persone su 100 in età lavorativa, oggi circa 70. A fronte di un aumento del tasso di occupazione, il numero delle ore pro-capite lavorate è crollato dalle 1.963 all’anno del 1950 alle 1.783 del 2016, -9,2%. (Leggi anche: Idea Bill Gates: tassare robot perché rubano il lavoro)
In Italia, negli ultimi 20 anni, il tasso di occupazione è cresciuto dal 50% a circa il 57% attuale. Nel frattempo, il numero delle ore lavorate è sceso in media da 1.856 a 1.730 all’anno. In Germania, si è passati in soli 10 anni da un’occupazione del 65% a una del 74%, mentre le ore medie lavorate all’anno sono scese da 1.554 nel 1990 alle 1.363 dell’anno scorso.
Lavorare meno e produrre di più
Complessivamente, nell’area OCSE si lavorava mediamente quasi 2.000 ore all’anno nel 1970 contro le attuali 1.763. E’ indubbio che in questi decenni siano stati registrati enormi progressi nell’ambito dello sviluppo tecnologia. Si pensi alla comparsa dei computer e della telefonia mobile prima e alla nascita e diffusione di internet dopo.
Dunque, oggi siamo più più ricchi di quasi 12 volte rispetto a nemmeno mezzo secolo fa, ma lavorando ciascuno di meno e in più persone. E’ la conferma che la tecnologia non ha rubato lavoro, ma ha così tanto ampliato la ricchezza, da creare maggiori opportunità per tutti, specie nel settore dei servizi, riducendo il peso dell’industria (manifattura) e, soprattutto, quello dell’agricoltura nell’economia. (Leggi anche: Lavoro e robot, ecco le professioni destinate a scomparire entro il 2025)