Non saremo disoccupati, ma più liberi e ricchi
D’altra parte, non solo il passato, bensì pure la logica indurrebbe a guardare con maggiore ottimismo alla nuova rivoluzione post-industriale in corso. Se i robot rubassero il lavoro e riducessero sensibilmente il numero degli occupati, anche la massa dei redditi diminuirebbe e con essa il potere di acquisto. Di conseguenza, i prezzi dei beni e dei servizi prodotti si abbasserebbero strutturalmente, anche per effetto del progresso tecnologico, ma potenzialmente incrementando i (minori) redditi in termini reali e rilanciando i consumi.
In altre parole, quand’anche la tecnologia sostituisse temporaneamente i lavoratori con le macchine, si innescherebbero meccanismi di riequilibrio tra domanda e offerta, tali da rendere acquistabili merci e servizi a prezzi inferiori e liberando reddito da destinare a un incremento dei consumi, il quale a sua volta richiederebbe un più alto numero di lavoratori. Si pensi al caso dell’agricoltura, che assorbiva dopo la Seconda Guerra Mondiale oltre la metà degli occupati, mentre oggi appena un cinquantesimo del totale. Eppure, la popolazione italiana è cresciuta nel frattempo di quasi un terzo e i consumi alimentari sono letteralmente esplosi, grazie al maggiore benessere.
Il numero degli addetti a un settore non esprime di per sé alcuna condizione di ricchezza, potenzialmente nemmeno quello complessivo, se minori risorse umane fossero indispensabili per produrre la stessa quantità di beni e di servizi. La produttività accresce i redditi e si traduce in maggiore ricchezza, oltre che in costi più accessibili, che sono proprio quei fattori che fanno stare meglio tutti. Nel nostro futuro non ci sarebbe più povertà, ma maggiore tempo libero.