Robot e intelligenza artificiale: rivoluzione entro 2025, quali lavori rischiano e quali no

Come cambierà il lavoro entro il 2025 e quali saranno i settori a rischio. Boom di contratti atipici.
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6 anni fa
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Lavoro e robot

Si parla sempre più spesso di intelligenza artificiale e robot, di come cambieranno la nostra vita, soprattutto nel mondo del lavoro. E la data di questa rivoluzione non è neppure troppo lontana; la data è fissata al 2025, quando il 52% delle attività oggi compiute dall’uomo saranno nelle mani di sistemi automatizzati. Da un lato c’è preoccupazione per le sorti di molte figure ma non è tutto perduto.

Secondo uno studio del World Economic Forum (WEF), The Future of Jobs 2018, basato su 300 grandi compagnie e manager entro il 2025 il 29% in più delle mansioni lavorative saranno gestite da macchine e le conseguenze ricadranno su alcune figure  impiegatizie basate proprio su quelle mansioni.

Non sembra però tutto negativo; se da un lato il cambiamento potrebbe sconvolgere il settore, dall’altro l’intelligenza artificiale potrebbe aprire le porte a nuove figure, 133 milioni di nuovi ruoli nello specifico contro i 75 milioni che andranno a scomparire nei prossimi anni.

Quali saranno le figure che saranno sostituite dai robot?

In base al rapporto del Wef saranno soprattutto i settori della contabilità, gestione clienti, industriale, postale e di segreteria ad accogliere il cambiamento e mettere in mano ai robot certe mansioni. Di contro dovrebbero aumentare le richieste per vendite, marketing, e-commerce, social media e servizio clienti, per cui la mano umana sarà sempre necessaria.

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Quale soluzione?

Lo studio rileva che per evitare una sorta di catastrofe occupazionale per chi svolge determinati lavori, l’unica alternativa sarebbe quella di optare per la riqualificazione del personale in particolare nei settori trasporto aereo, viaggi e turismo.

Sempre più contratti atipici

Tutto questo incide anche sui contratti di lavoro sempre più atipici. I contratti di lavoro a tempo determinato sono passati dal 4,8% del 1985 al 14% del 2016, il part time, ad oggi, è al 20%.

Una precarietà non voluta dal lavoratore nella maggior parte dei casi. L’Italia è con Spagna, Grecia e Portogallo il paese con una più alta percentuale di precarietà dove si nota una “una maggiore insoddisfazione per i lavori ‘atipici’ a causa delle notevoli differenze nelle condizioni di lavoro rispetto ai contratti ‘tipici’”.

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