Ieri, il cambio tra dollaro e rublo è sceso sotto 73. Se pensate che all’inizio dell’anno per acquistare un dollaro servissero 75 rubli e poco prima della guerra 80, capite subito che la valuta russa si stia rafforzando. E dire che le sanzioni dell’Occidente avrebbero dovuto rovinarla quasi immediatamente. Il presidente americano Joe Biden ironizzò definendola “rubble” (“macerie”), giocando sull’assonanza con “rouble” (“rublo”). Ma dopo avere perso circa il 43% con l’invasione dell’Ucraina, la risalita è stata velocissima.
Contro l’euro, sempre ieri il rublo si è rafforzato ai massimi da due anni a questa parte.
Le ragioni del super rublo
Di preciso, cosa sta succedendo? In questi giorni, le scadenze fiscali stanno costringendo numerose aziende russe a convertire i ricavi in valute straniere in rubli. Sono attesi pagamenti per circa 3.000 miliardi di rubli, qualcosa come 38 miliardi di euro. Questa spiegazione convince fino a un certo punto, perché già con i controlli sui capitali introdotti a fine febbraio la Banca di Russia impone alle società esportatrici di convertire almeno l’80% dei ricavi in valuta.
Di certo c’è che proprio questi controlli stiano funzionando, sopprimendo la domanda di valute straniere a soli 10.000 dollari all’anno per individuo. In pratica, neppure il costo sostenuto da un oligarca per fare il pieno a un suo yatch in Europa. Ma c’è anche che la Russia continua a incassare la media di 850 milioni di euro al giorno tra petrolio e gas in Europa. Denaro più che sufficiente per compensare i cali delle riserve valutarie e finanziare al contempo la guerra in Ucraina.
Il blocco asiatico sostiene Mosca
Per questo i governi europei stanno adottando piani energetici per allentare al più presto la dipendenza dalla Russia fino a (si spera) annullarla. C’è un problema: l’Asia sta almeno parzialmente compensando i minori acquisti del Vecchio Continente. L’India ha acquistato da inizio guerra fino alla terza settimana di aprile circa 13 milioni di barili di petrolio russo. In tutto il 2021 ne aveva importati 16 milioni. In pratica, è passata da una media giornaliera di 40.000 a 235.000 barili al giorno.
Anche la Cina sta continuando a comprare petrolio russo, forse anche ad aumentarne le importazioni, sebbene manchino dati ufficiali al riguardo. E c’è un effetto collaterale imprevisto di questa vicenda: Cina e India stanno acquistando petrolio e gas a sconto rispetto alle quotazioni internazionali, mentre l’Europa subisce i rincari e la sua economia patisce. Se non fosse per i nuovi lockdown cinesi, probabilmente la domanda globale di greggio sui mercati sarebbe ancora più alta e così anche le quotazioni. In pratica, l’Asia rischia di rilanciarsi a spese dell’Europa.
Verso nuove sanzioni alla Russia
L’inflazione russa a marzo è salita al 16,7% e ad inizio aprile avrebbe accelerato ulteriormente al 17,3%, ai massimi dal 2002. Ma la Banca di Russia ha già tagliato i tassi d’interesse dal 20% al 17%, evidentemente confidando in una sua stabilizzazione. I contraccolpi delle sanzioni all’economia domestica restano molto duri, seppur meno del previsto in Occidente.
Avanza lo scenario di un embargo petrolifero immediato per danneggiare più seriamente l’economia russa, ma ciò inevitabilmente avverrebbe a detrimento anche della crescita europea. Peraltro, le esportazioni in Europa sono aumentate ad aprile a 1,6 milioni di barili al giorno dagli 1,3 di aprile. Dietro alle dichiarazioni belliche, dunque, il Vecchio Continente continuerebbe a fare affari con Mosca. Il rublo se la gode.