Con l’invasione dell’Ucraina, il cambio tra dollaro e rublo è esploso da circa 80 a 140. Praticamente, la valuta russa si è deprezzata fino al 43% in pochissimi giorni. Tuttavia, da allora la debolezza è rientrata e mentre scriviamo il cambio si attesta in area 84, tornato ai livelli pre-bellici. D’altra parte, il recupero è stato reso possibile anche grazie all’introduzione di controlli sui capitali. Tra l’altro, è fatto divieto di esportare più di 10.000 dollari all’anno a testa.
La leader degli industriali della provincia di Primorsky, nell’estremo oriente della Russia, tale Marina Shemilina, ha lanciato l’allarme sulla carenza di lavoratori nell’area proprio a causa del rublo debole.
Dal rublo debole speranze per i nordcoreani
Ed ecco che una storica risorsa preziosa per le imprese locali può tornare a fare capolino dopo qualche anno di fermo. I lavoratori nordcoreani sono spediti dal regime di Pyongyang in Russia per guadagnare qualcosa in valuta straniera. Si tratta di lavori forzati, cioè di persone che non possono sottrarsi a tale obbligo e che non godono praticamente di alcun diritto. Per questo, l’ONU nel 2019 ha messo al bando la pratica. Si calcola che fino al 2018 vi fossero 18.000 nordcoreani a lavorare in Russia, mentre nel 2020 sarebbero scesi ad appena 500, almeno secondo Mosca.
Ai lavoratori nordcoreani rientranti nel programma sono corrisposti in rubli qualcosa come non oltre 120-150 dollari al mese, sebbene l’impresa mediamente paghi allo stato nordcoreano sui 6.500 dollari l’anno. In pratica, circa l’80% della remunerazione va al regime, che cerca così di sostentarsi, pur vivendo isolato dal resto del mondo.
Lavoratori abbandonati in Russia da Kim Jong-Un
Sul sito di Farpost.ru, simile a eBay, compaiono annunci di lavoratori nordcoreani già in territorio russo in cerca di lavoretti nel settore delle costruzioni e che più o meno dicono così: “costiamo meno dei russi, non facciamo pause e lavoriamo tutta la giornata. In fondo, siamo in Russia per lavorare e non per riposare”. Potrebbe trattarsi di lavoratori che hanno finito il periodo triennale d’impiego a cui erano destinati, ma che non sono potuti rientrare nella Corea del Nord a causa della pandemia. Kim Jong-Un ha chiuso le frontiere e ha impedito l’ingresso di chicchessia, persino dei suoi stessi connazionali inviati come schiavi in Russia. I quali stanno cercando di sopravvivere svolgendo altri lavori in autonomia, in attesa che Pyongyang riapra loro le porte. O forse sperano che lo faccia il più tardi possibile, viste la totale assenza di libertà e l’estrema indigenza in cui versa il loro paese.
Russia verso il punto di non ritorno
Forse nel tentativo di alleviare le durissime condizioni di vita dei nordcoreani, il regime ha accorciato il servizio militare obbligatorio da 9-10 anni a 7-8 per gli uomini e da 6-7 a 5 per le donne. Tutti i cittadini, raggiunta la maggiore età, sono arruolati nell’esercito nordcoreano.
Questa notizia, però, ci riguarda da vicino: se Mosca infrangesse il divieto dell’ONU e accettasse nuovamente l’ingresso di lavoratori nordcoreani legato ai programmi triennali sopra citati, sarebbe la dimostrazione che il governo russo non ritenga oramai di dovere rendere conto alla comunità internazionale su nulla. Non terrebbe più a salvaguardare la reputazione fuori dai confini nazionali. In altre parole, la rottura delle relazioni diplomatiche con l’Occidente sarebbe totale e definitiva.