La velocità con cui i ribelli capeggiati da Mohammed al-Jolani hanno conquistato la Siria e sbriciolato il regime degli Assad dopo 54 anni spiega più che le vulnerabilità (note) di Damasco, la crisi della Russia. Il Paese era da decenni nei fatti un protettorato iraniano e sotto la tutela di Mosca. Tant’è che l’ormai deposto dittatore Bashir al-Assad ha ottenuto insieme ai familiari più stretti asilo politico proprio da Vladimir Putin. L’immagine del Cremlino da questa vicenda ne esce a pezzi.
Crolla rublo, boom stipendi
Alcuni dati macroeconomici sembrano smentire a prima vista l’idea che la Russia sia in crisi. Gli stipendi reali, cioè al netto dell’inflazione, sono cresciuti del 10% dall’inizio dell’anno e del 25% dall’inizio del conflitto. La disoccupazione è scesa al minimo record del 2,4% e per ammissione dello stesso Putin servirebbe almeno un altro milione di lavoratori al mercato del lavoro. La carenza di manodopera sta limitando la crescita economica, che per il Fondo Monetario Internazionale sarà quest’anno del 3,6%.
Ma tra pochi giorni la Banca di Russia potrebbe alzare nuovamente i tassi di interesse al 23% dal già alto 21%. L’inflazione a ottobre è stata dell’8,5%, anche se per l’istituto di ricerca indipendente Romir sarebbe su cifre tendenzialmente doppie. Il costo della vita esplode per due ragioni: il collasso del rublo e il boom degli stipendi. Il cambio contro il dollaro segna -20% da inizio agosto, ma è probabile che il governatore Elvira Nabiullina sia dovuto intervenire per arrestare il crollo. A fine novembre era arrivato a più di 110.
Il problema è uno: ci sono milioni di uomini mandati al fronte per combattere in Ucraina e da poche settimane anche nella regione del Kursk.
Spese militari in crescita, ma c’è carenza di capitali
A luglio il Ministero della Difesa ha aumentato a 5,2 milioni di rubli, circa 44.000 euro, lo stipendio annuale per i soldati nei primi 12 mesi. Il budget per le operazioni militari salirà del 30% a 130 miliardi nel 2025. E il fondo sovrano, inizialmente pensato per le pensioni e riconvertito in corsa per la guerra, è passato dai 140 miliardi di inizio 2022 agli attuali 53,8 miliardi. Non basteranno a finanziare i 61 miliardi di deficit pubblico stimato nel triennio prossimo. Da inizio anno, intanto, il governo ha venduto 50 tonnellate di oro per avere liquidità.
La Russia è in crisi per quegli stessi numeri che in Occidente molti di noi si ostinano a considerare prova del suo successo. Si tratta orma di un’economia di guerra chiusa ai capitali stranieri, tant’è che i tassi alti lo testimoniano. Ci dovrebbe essere la fila per portare il proprio denaro a Mosca, dove verrebbe remunerato a interessi enormemente più alti che altrove. Se è vero che le sanzioni occidentali lo impediscono, va detto che neppure dalla confinante Cina stiano affluendo yuan. E malgrado la discesa dei rendimenti sovrani ai minimi storici. Questo è un grosso segnale di allarme per Putin: o cessa la guerra entro pochi mesi o resterà a corto di risorse con cui finanziarla.
Crisi in Russia già in corso
A questi ritmi, occorrono almeno 1.000 soldati al giorno reclutati per rimpiazzare quelli morti e feriti.
Analisi particolare, come sempre sarà il tempo a confermarne la giustezza