E’ stato un tentato golpe o un “autogolpe”? Gli analisti restano cauti dopo che le milizie di Wagner, guidate da Evgenij Prigozhin, hanno conquistato per una giornata la città di Rostov al confine con l’Ucraina, marciando verso Mosca e ritirandosi a 200 km dall’ingresso in città. La sensazione che si sia trattata di una sceneggiata c’è tutta, anche se l’immagine del presidente Vladimir Putin esce a pezzi da questa vicenda. Lo “zar” sembra incapace di mantenere con assolutezza le redini del suo regime.
Nei quattro trimestri al 31 marzo scorso il PIL è diminuito, pur con intensità via via minore. Ed è vero che l’inflazione è tornata nei ranghi, scendendo al 2,5% di maggio dall’apice del 17% toccato agli inizi dello scorso anno. Tuttavia, i tassi d’interesse devono essere mantenuti necessariamente alti, ancora al 7,50%. Nessun paese occidentale ha al momento tassi reali del 5%. La debolezza dell’economia in Russia si riflette nel rublo. Il tasso di cambio contro il dollaro è risalito sopra 85, ai livelli più alti da 15 mesi. Quest’anno, perde oltre il 13% contro la divisa americana.
Il “super” rublo era stato ostentato da Putin nel corso del 2022, a suo dire il segno che le sanzioni dell’Occidente avessero fatto il solletico all’economia in Russia. La realtà era ben diversa. Il cambio si era rafforzato, dopo il collasso post-invasione ucraina, sia per gli stringenti controlli introdotti dalla banca centrale, sia per il tracollo delle importazioni. Tagliati fuori dagli scambi commerciali, oltre che dai mercati finanziari, i russi non hanno potuto inizialmente acquistare prodotti da Nord America ed Europa.
Economia Russia giù insieme a petrolio e gas
Alla base delle fortune alterne del rublo, però, non può mancare il petrolio. All’indomani dell’inizio della guerra il greggio schizzò fino ai 120 dollari al barile. Malgrado due maxi-tagli della produzione annunciati tra aprile e giugno, attualmente è sotto i 75 dollari. Ciò costringe la Banca di Russia ad allentare i controlli sul mercato forex. Solo un cambio più debole può aumentare il valore delle esportazioni di Brent all’estero. E aggiungiamo anche il crollo sia dei prezzi che dei volumi accusato dalle esportazioni di gas in Europa. Fatto sta che l’economia in Russia si è contratta del 2,1% nel 2022, pur molto meno delle previsioni. Per quest’anno dovrebbe tornare a crescere, ma intorno solo all’1%.
Le riserve valutarie ufficialmente restano alte, sopra 584 miliardi di dollari. Ma erano a quasi 640 miliardi prima della guerra. Soprattutto, circa 300 miliardi sono stati “congelati” dai paesi occidentali. E nelle ultime settimane sta rafforzandosi l’ipotesi di un definitivo sequestro, con conseguente impiego di tali risorse per sostenere la ricostruzione dell’Ucraina. In pratica, la Russia attualmente dispone di meno di 300 miliardi. Non solo. Non può regolare più gli scambi in dollari, per cui è costretta ad accettare in pagamento valute come la rupia indiana senza sapere cosa farne. Ciò pone grossi problemi al re-indirizzamento delle esportazioni in Asia. Rimpiazzare clienti paganti in euro, sterline, dollari, ecc., con clienti paganti in rupie e yuan non è un fatto neutrale per Mosca. La “qualità” stessa delle riserve, in altri termini, sta deteriorandosi.
Il sostegno popolare alla guerra contro l’Ucraina sta incrinandosi negli ultimi mesi. Le perdite di vite tra i soldati russi risultano elevatissime e i benefici di questa “operazione militare speciale” non si vedono.