Salario minimo di 9 euro l’ora, proposta delle opposizioni (tranne Renzi) senza convinzione e visione del lavoro

Le opposizioni unite, ad eccezione di Italia Viva di Matteo Renzi, firmano una nota congiunta per lanciare il salario minimo di 9 euro.
1 anno fa
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Opposizioni quasi tutte unite sul salario minimo

La batosta del Molise, l’ennesima, ha spinto la segretaria del Partito Democratico, Elly Schlein, e il leader del Movimento 5 Stelle, Giuseppe Conte, a mostrare unità all’opposizione contro il governo Meloni. Insieme a Sinistra-Verdi, +Europa e Azione, hanno firmato lo scorso venerdì una nota congiunta per chiedere l’introduzione del salario minimo di 9 euro l’ora. Non ha partecipato l’ex premier Matteo Renzi, che a nome di Italia Viva se ne sta fuori dall’intesa. Ha spiegato che stare all’opposizione del governo di centro-destra non significa appartenere a una “coalizione alternativa”.

Incognite inflazione e ruolo sindacato

La proposta del “campo largo” prevede che le imprese attive in ogni settore di attività debbano riconoscere al lavoratore dipendente un salario minimo di 9 euro all’ora. Lo stesso varrebbe per i lavoratori parasubordinati e gli autonomi. Previsto un periodo di dodici mesi di tempo per consentire alle imprese di adeguarsi. Ma il leader di Azione, Carlo Calenda, frena sull’indicizzazione automatica dei contratti scaduti. Sostiene che bisogna evitare la rincorsa tra salari e inflazione. Nei giorni scorsi, l’ex ministro aveva fatto presente che “sui singoli temi” sarebbe stato pronto a convergere con il resto delle opposizioni, ma mettendo le mani avanti sul fatto che non sarebbe l’antipasto di un’alleanza elettorale.

Più che la compattezza delle opposizioni, la proposta sul salario minimo ne ha evidenziato le spaccature. Renzi sta dove non c’è Calenda e viceversa. Guardando in prospettiva, il fiorentino sarebbe più possibilista su un’alleanza con il centro-destra, Calenda su una con il centro-sinistra. Ad ogni modo, il salario minimo è tema su cui si dibatte da anni e quasi sempre strumentalmente. Lo dimostra il fatto che la proposta sia arrivata dagli stessi partiti al governo negli anni passati, ma che evidentemente non ebbero né la volontà, né il coraggio di portare avanti.

Il salario minimo rischia di accentuare le divisioni interne al PD. E’ tutt’altro che una proposta di sinistra come pensiamo. Una legge che fissi le retribuzioni al di sotto delle quali i lavoratori non potranno percepire, nella sostanza riduce il ruolo del sindacato nei processi negoziali. Non è casuale che proprio i sindacati siano freddi sul tema. Anche perché il vero problema non riguarda in Italia i livelli minimi, quanto quelli medi. La quasi totalità di chi lavora è coperto dai Contratti Collettivi Nazionali del Lavoro (CCNL). E le garanzie minime sono soddisfacenti. Il problema è che gli stipendi non crescono da decenni in termini reali, restando spesso a lungo fermi anche nominalmente.

Salario minimo e rischio appiattimento in busta paga

Che sul salario minimo la discussione sia meno facile di quanto crediamo, lo dimostra un esempio. Per prima cosa, intendiamo 9 euro al lordo o al netto delle imposte? E i contributi vi rientrano? Poniamo che si tratti di 9 euro lordi e che un’impresa paghi oggi a un suo magazziniere 1.300 euro e ad un addetto agli uffici acquisti 1.500 euro al mese. Per legge dovrebbe alzare lo stipendio al primo a circa 1.500 euro, dato che 9 euro l’ora fanno 72 euro per una giornata di 8 ore e 1.512 euro per 21 giorni lavorativi in un mese. Ebbene, cosa facciamo con il secondo dipendente? Alziamo anche il suo stipendio (e di quanto?) o lo lasciamo invariato? Nel primo caso, il costo del lavoro esploderebbe e con esso l’inflazione, nel secondo arriveremmo a una situazione di appiattimento salariale.

In altre parole, il salario minimo, che parte da premesse tutt’altro che sbagliate, rischia di generare molto malcontento e disparità di trattamento tra i lavoratori. Chi guadagna di più oggi, si vedrebbe verosimilmente pagato mensilmente quanto chi prima guadagnava di meno. Non avrebbe avuto senso studiare, specializzarsi o persino sgobbare di più in azienda.

Automatismi legislativi imporrebbero a tutti un’uguaglianza in busta paga che avrebbe il sapore di una discriminazione verso i più. Per questa ragione è necessario che i salari crescano per via negoziale e in linea con le condizioni delle imprese. Lo stato deve liberare energie per favorire l’occupazione e la crescita, premesse indispensabili per migliorare le retribuzioni di tutti e porre fine a quelle da fame che troppo spesso, specie nel Meridione, esistono. Ma buttata così come hanno fatto Schlein-Conte, sembra solo un vessillo da sbandierare contro il governo.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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