Nazionalizzazione banche, sanatoria fiscale e crisi euro: parola a Paolo Cardenà

Intervista a Paolo Cardenà sulla situazione economico-finanziaria attuale dell'Italia. Tra elezioni anticipate, stravolgimenti geo-politici e nuovo asse franco-tedesco, vediamo cosa pensa uno dei più popolari blogger economici italiani.
7 anni fa
13 minuti di lettura

In scia alla ripresa dell’Eurozona, l’Italia potrebbe quest’anno vedere aumentare il suo pil ai massimi dal 2010, anche se intorno all’1%. Vero è anche che il peso del debito pubblico non accenna a diminuire e che i rendimenti dei BTp dovrebbero salire per effetto del “tapering” della BCE. Pensa che una stretta monetaria possa prima o poi fare saltare il tappo o che l’economia italiana si mostrerà resiliente ad eventuali shock sul fronte spread?

L’Italia è il paese che più degli altri ha subito gli effetti prodotti della grande recessione, che poi si è evoluta e integrata con la crisi del 2011 e degli anni successivi.

Negli ultimi anni, nonostante le condizioni esterne eccellenti  (bassi tassi di interesse, robusta crescita economica nel contesto globale, bassi prezzi del petrolio, euro debole, politiche ferocemente espansive dal parte della Bce) l’Italia ha ottenuto  delle performance deludenti sul fronte economico e del debito pubblico. Anzi, eccetto la Grecia, l’Italia è il Paese che negli ultimi anni è cresciuto meno, confermando l’ormai consolidata tradizione e il triste primato. Il mix di elementi di pericolo e di fragilità rende il quadro assai preoccupante, sopratutto in ottica futura, quando si potrebbe assistere al deterioramento o al rallentamento della crescita globale.

Il debito pubblico è aumentato esponenzialmente fino a due anni fa.  A inizio della crisi era 1600 miliardi, circa il 100% del Pil. Da quell’epoca è cresciuto di oltre 600 miliardi (quasi un terzo dello stock di allora) raggiungendo il 133% del Pil, che invece è rimasto stagnante. Negli ultimi anni, nonostante i fattori eccellenti, il debito si è appena stabilizzato e un’inversione di tendenza appare poco credibile. Tanto più se si considera lo scenario di aumento dei rendimenti dovuto a una politica monetaria meno accomodante.

Sul fronte della gestione del debito pubblico, gli esperti del tesoro, approfittando dei bassi tassi, hanno allungato la duration.

Il che depone a favore di una maggiore resilienza nel caso di shock sui rendimenti. Ma l’evidente difficoltà dell’Italia ad esprimere tassi di crescita maggiori, rende il nostro paese assai vulnerabile. C’è poi da aggiungere la fragilità di ampi strati del sistema bancario, che è arrivato allo stato in cui si trova grazie all’omertà dei governi che si sono alternati alla guida del paese negli ultimi anni. (Leggi anche: Crescita Italia nelle mani di Draghi, ecco il grafico)

Se dovesse suggerire 2-3 azioni di governo, in grado di risollevare le sorti della nostra economia, quali indicherebbe? E le ritiene possibili a quali condizioni?

Mi fa una domanda la cui risposta implica un trattato di economia, soprattutto per spiegare le motivazioni alla base di quello che io definisco il minimo sindacabile per cercare di raddrizzare le sorti dell’Italia. E non è detto che ci si riesca. Cerco di rispondere. Partiamo dal fatto che, dopo dieci anni di crisi, ho la sensazione che siano saltati molti equilibri. Mi riferisco soprattutto agli equilibri in base ai quali si fondava (dovrebbe fondarsi) il rapporto tra fisco e contribuente.

La crisi ha prodotto un numero elevatissimo di soggetti insolventi, non solo nei confronti del sistema bancario, ma anche del fisco. Sia ben chiaro, non sto parlando di evasori fiscali ma semplicemente di soggetti che, pur avendo adempiuto correttamente agli obblighi imposti dal fisco, sono risultati inadempienti nel pagamento dell’obbligazione tributaria. E questo per diverse ragioni che non sto qui ad elencare. Questi soggetti oggi vivono in condizioni di “clandestinità fiscale” proprio per sfuggire alla morsa del fisco che cerca di recuperare il gettito della pretesa tributaria. Una condizione che, oltre ad essere espressione del dramma sociale di molte persone, non consente al fisco di intercettare nuova materia imponibile. Ma questo ha degli effetti devastanti anche sul piano economico, dato che a questi soggetti è preclusa la possibilità di spendere in beni che, altrimenti, potrebbero essere intercettati dal fisco e quindi pignorati.

Infatti, proprio per correre ai ripari, come saprà, il governo ha messo in campo una sorta di sanatoria per i debiti pendenti nei confronti dell’agente della riscossione, oggi assorbito dall’Agenzia delle Entrate. Il problema è che, a parer mio (ma ne sapremo qualcosa in più quando si conosceranno i dati ufficiali), dato che la sanatoria è molto poco attraente, questo istituto viene per lo più utilizzato dai contribuenti morosi per interrompere l’azione esecutiva di Equitalia, differendo il problema di qualche trimestre in avanti. Quindi la questione si riproporrà tra qualche tempo, ma nel frattempo si sarà perso del tempo prezioso. Che poi, gli stessi vertici dell’amministrazione finanziaria hanno ammesso che sui circa 700 miliardi che Equitalia deve incassare, risultano  esigibili appena una cinquantina di miliardi, che rappresentano appena il 7% del totale. Se questi sono i numeri, tanto vale cercare di incassare qualcosa in più, in maniera dilazionata nel tempo, ma rendendo più appetibile la sanatoria. Questo dovrebbe essere propedeutico a un nuovo patto tra fisco e contribuente, che ponga da un lato il contribuente in una condizione di maggior tutela, e dall’altro  il fisco con le evidenti necessità di fare cassa.

Per rispondere alla sua domanda, quindi direi:
1) Una riforma fiscale degna di un paese civile, in cui vengano elevati a rango costituzionale i principi espressi nello Statuto dei Contribuenti e che, una volta per tutte, impedisca al legislatore la possibilità di legiferare in modo schizofrenico in materia fiscale. Questo avrebbe degli effetti positivi nel mondo delle imprese, consentendo una più che necessaria pianificazione fiscale, ad oggi impossibile nel contesto italiano. Insomma, innescherebbe un percorso virtuoso con ovvi riflessi anche sugli investimenti.

2) Quindi, è indispensabile una versa sanatoria fiscale dei crediti vantati da Equitalia, eccettuati quelli derivanti da fenomeni evasivi conclamati compiuti da soggetti recidivi.

In questo modo verrebbero riabilitati i soggetti inadempienti (e quindi non evasori) nei confronti del fisco, altrimenti costretti a vivere in condizioni di clandestinità fiscale, con effetti devastanti sia sul piano sociale che economico.

3) La crisi ha prodotto qualche milioni di soggetti insolventi nei confronti del sistema bancario. Si tratta di soggetti che vedono  preclusa qualsiasi possibilità di accesso al credito. Quindi, è indispensabile  un meccanismo di esdebitazione di tutti quei soggetti risultati insolventi per effetto della crisi. Dato che la fiducia verso il sistema bancario è condizione indispensabile per il buon funzionamento dell’ambiente economico, è indispensabile rafforzare il capitale del sistema bancario italiano attraverso l’intervento dello stato, seppur in contrasto con le norme sul bail-in. Magari a qualcuno  non piacerà la soluzione temporanea dello Stato nel capitale delle banche in difficoltà e si potrebbe anche obiettare che i livelli del debito pubblico sono già troppo elevati. Sicuramente c’è del vero, ma posto il fatto che soluzioni private sono di difficile applicazione date le dimensioni di capitali necessari (lo abbiamo visto con la nascita di Atlante), sarebbe preferibile un debito elevato con un sistema bancario in difficoltà (solo per usare un eufemismo) pronto a scricchiolare in occasione di una prossima crisi, o un debito eventualmente un po’ più alto ma con un sistema bancario sanificato, più solido e in grado di affrontare con maggior serenità un’eventuale prossima crisi? (Leggi anche: Cardenà: con bail-in rischiamo controlli sui capitali)

Se da un lato l’intervento pubblico determinerebbe l’aumento del debito, dall’altro l’intero sistema Italia ne riuscirebbe rafforzato: verrebbe ristabilita la fiducia nel sistema bancario che a qual punto potrebbe guardare con più favore il cotesto economico, e quindi aumentare il credito all’economia. Questo, unitamente alle riforme di cui l’Italia ha bisogno, contribuirebbe ad innescare un meccanismo virtuoso che avrebbe riflessi positivi sia sull’economia e sui conti pubblici.

4) Occorre creare  veicoli finanziari idonei a favorire la capitalizzazione delle piccole e medie imprese (che comunque presuppone un contesto più favorevole. Vedi primo punto), aumentando l’incidenza dei mezzi propri in modo da migliorare i requisiti patrimoniali di accesso al credito e quindi il merito creditizio, poiché deteriorato per effetto della crisi.

Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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