Nazionalizzazione banche, sanatoria fiscale e crisi euro: parola a Paolo Cardenà

Intervista a Paolo Cardenà sulla situazione economico-finanziaria attuale dell'Italia. Tra elezioni anticipate, stravolgimenti geo-politici e nuovo asse franco-tedesco, vediamo cosa pensa uno dei più popolari blogger economici italiani.
8 anni fa
13 minuti di lettura

Crede che dopo le elezioni torneremo a un’agenda economica riformatrice o che il triennio renziano sia stato ormai sprecato e non possa più essere riesumato per varare riforme finalmente credibili e di stimolo per la crescita nel medio-lungo termine?

Credo che gli ultimi governi abbiano sprecato la finestra di opportunità offerta dalle politiche espansive della Bce e che invece di avere una visione di lungo periodo, idonea a riformare l’Italia e proiettarla verso i prossimi 10 o 20 anni, si sia guardato troppo agli interessi di bottega dei partiti che hanno governato.

L’espressione più tangibile di quanto appena affermato è rappresentata proprio dalle clausole di salvaguardia, ossia spesa a deficit di pessima qualità, finalizzata per lo più ad acquisire consenso elettorale.

Credo altresì che il governo Renzi abbia dissipato anche quella che da molti era considerata una speranza riformatrice per l’Italia. Egli ha commesso il grande errore di ingessare e dividere per due anni il paese in una  riforma costituzionale che poi  è stata sonoramente bocciata dagli italiani. Ha anche alle sue spalle una legge elettorale (l’Italicum) bocciata dalla Corte Costituzionale e un’altra affossata dal suo stesso partito pochi giorni fa. Inoltre l’inerzia e l’omertà del suo governo sul fronte della crisi delle banche italiane, rischia di costare molto agli italiani, ed oggi certamente di più rispetto a quello che sarebbe costata ieri con un intervento risolutivo. (Leggi anche: Ripresa economica, ecco come l’Italia ha sprecato un’opportunità)

Insomma, dall’esperienza di governo, Renzi ne è uscito con un’immagine assai offuscata, a mio avviso anche agli occhi degli altri paesi europei dei mercati. Detto questo non credo troppo alla capacità riformatrice della classe politica italiana e questo rischia di avere delle significative implicazioni nei prossimi anni, qualora le condizioni economiche dovessero farsi meno favorevoli.

Dopo la vittoria di Emmanuel Macron in Francia, l’asse franco-tedesco sembra rafforzarsi. Parigi spinge per una maggiore integrazione politica, ovvero per un ministro delle Finanze unico e un bilancio comune. Non vengono esclusi nemmeno gli eurobond. Pensa che l’Italia dovrebbe assecondare tali richieste? E perché?

In Francia e nellEurozona la sconfitta della Le Pen ha cambiato i connotati dei possibili scenari, almeno per i prossimi anni.

Prima delle elezioni francesi ci si chiedeva cosa sarebbe potuto accadere nel caso in cui la Le Pen avesse vinto le presidenziali e che cosa ne sarebbe stato dell’euro. Così non è stato e la leadership di Macron per il momento  ha archiviato i rischi (o le opportunità, dipende dai punti di vista) connessi alla dissoluzione dell’euro per via dell’affermarsi di forze politiche no euro. Come ho sempre sostenuto, in Italia, al momento non esiste un rischio connesso all’affermarsi di forze politiche no euro, per il semplice fatto che queste, nel complesso, non esprimono livelli di consenso elevati.

Nemmeno esiste una classe politica capace di assumere una scelta così importante (come appunto l’uscita dall’aeuro), che peraltro distruggerebbe l’enorme investimento  del patrimonio politico che la creazione dell’euro ha presupposto negli ultimi 50 anni di storia politica europea. In estrema sintesi, quindi, credo che  
che l’Italia, anziché governare dall’interno un eventuale uscita dall’euro, sarà destinata a subirla nel caso in cui  qualche altro paese (magari fondatore) dovesse sganciarsi per primo dall’unione monetaria, provocando la dissoluzione della moneta unica. In questo caso, non appare affatto remota la possibilità che l’Italia si trovi a dover affrontare questa eventualità (quella della dissoluzione dell’euro) in maniera del tutto impreparata e senza un piano “B” che consenta di contrastare, per quanto possibile, lo shock che ne deriverebbe.  (Leggi anche: Perché Macron può fare più male che bene all’Italia)

Tuttavia, a mio avviso,  la vittoria di Macron in Francia ha spostato in  avanti le lancette dell’orologio.

Più o meno tutti sono perfettamente consapevoli che l’euro, nell’attuale  connotazione, difficilmente resisterà a una prossima crisi. Da qui l’esigenza di riformare profondamente non solo l’euro per come lo conosciamo, ma anche la governance dell’Unione Europea. Non so dire fino a che punto la vittoria di Macron in Francia determinerà un impulso consistente a rifermare l’Eurozona, ma ho seri dubbi che ciò possa avvenire. E non avverrà principalmente perché la Germania non crede (o forse non ha mai creduto) ad una vera e propria unione politica ed economica dei Paesi che compongono l’unione monetaria, né sarà in grado di assumerne la leadership, per evidenti complessi derivanti dal suo trascorso storico. In ogni caso, a mio avviso, l’Italia sarà destina ad accodarsi alle scelte degli altri, in perfetta sintonia con ciò che è avvenuto negli ultimi anni. In estrema sintesi, credo che l’Italia, orfana di una leadership forte capace di salvaguardare gli interessi nazionali, sarà destinata ad avere un peso marginale alle decisioni che riguarderanno la governance della UE.

A sorpresa, i conservatori del premier britannico Theresa May hanno perso la maggioranza assoluta dei seggi alla Camera dei Comuni alle elezioni di giovedì scorso. Adesso, le trattative sulla Brexit potrebbero diventare più difficili. Quale scenario intravede Lei?

Alla vigilia dei negoziati sulla Brexit, la posizione della Gran Bretagna, alla luce del risultato elettorale, appare tutta in salita. E’ verosimile attendersi che le trattative verranno condotte da un governo debole, minato dall’opposizione e con un profilo incerto in Europa. Nei giorni che separano la Gran Bretagna dall’avvio dei negoziati, i Conservatori dovranno combattere per affermare la propria leadership e con un Partito Laburista arroccato su posizioni radicali di sinistra. In questo contesto è possibile che la Gran Bretagna dovrà mostrarsi più disposta a compromessi su questioni come l’immigrazione, ma la componente euroscettica del Partito Conservatore rimane evidente.

Avviare le negoziazioni in un contesto caotico non favorirà certamente la Gran Bretagna, tanto meno nelle discussioni sul conto che l’Unione Europea intende imporle per la Brexit. Seguendo un approccio più pragmatico, le trattative potrebbero però orientarsi verso il modello norvegese. 

Theresa May cercherà presumibilmente di formare una maggioranza con l’aiuto del DUP. Se non dovesse riuscire, è probabile che Jeremy Corbyn cerchi di formare una coalizione che comprenda i Laburisti e altri partiti più piccoli, anche se non credo che questa possa essere una soluzione praticabile. Forse nei prossimi mesi potrebbero essere indette nuove elezioni.  Dal punto di vista macroeconomico, il risultato delle elezioni dovrebbe indurre la Banca d’Inghilterra a una linea più accomodante. Sussiste infatti il rischio che l’incertezza prodotta dall’esito elettorale possa provocare un calo nella fiducia delle imprese e dei consumatori. (Leggi anche: Elezioni UK, risultati shock: conservatori senza maggioranza)

 

Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
Il suo motto è “Il lettore al centro grazie a una corretta informazione”; ogni suo articolo si pone la finalità di accrescerne le informazioni, affinché possa farsi un'idea dell'argomento trattato in piena autonomia.

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