Il Consiglio europeo del 25 febbraio ha sospeso alcune sanzioni alla Siria, legate al settore petrolifero e al congelamento dei fondi in capo a 5 entità. Adesso, Germania, Italia e Spagna vorrebbero compiere un passo in avanti per ritirare del tutto l’embargo, tra cui quello a carico della Banca Centrale della Siria. Tuttavia, l’Unione Europea è divisa su tale prospettiva. Alcuni suoi membri come Grecia e Cipro si mostrano apertamente contrari. Il nuovo regime a Damasco, guidato da Abu Mohamed al Jolani, è considerato islamista e vicino alla Turchia, uno stato ostile per Atene e Nicosia. La Francia tituba, desiderando prima verificare le reali intenzioni del nuovo governo.
USA puntano a governo inclusivo
La situazione è resa ancora più complicata dagli Stati Uniti, dove l’amministrazione Trump non vuole per il momento allentare le sanzioni alla Siria. Il Dipartimento di Stato ha fatto appello a Damasco per la formazione di un “governo inclusivo” e fintantoché ciò non accadrà, nessun ripensamento sull’embargo. Su Washington peserebbero le pressioni di Israele, che considera la nuova compagine al potere islamista.
L’eventuale ritiro definitivo delle sanzioni alla Siria da parte dell’Unione Europea si rivelerebbe inefficace nel caso in cui non fosse accompagnato da simili misure americane. Ciò complica l’analisi della situazione, anche perché il rischio sarebbe di scontrarsi con la Casa Bianca in un momento delicato per via delle trattative sui dazi. D’altra parte, Italia e Germania non a caso sono per la linea morbida. I due hanno tutto l’interesse che la Siria si stabilizzi, al fine di arrestare il flusso dei migranti verso il Vecchio Continente.
Lira siriana più forte
Non è un mistero che il prossimo cancelliere Friedrich Merz vedrebbe di buon occhio che molti dei profughi siriani, fatti entrare nel 2015 da Angela Merkel, se ne tornassero in patria. Finora, però, tra questi prevale la prudenza. Pesa anche la distruzione delle abitazioni lasciate durante la sanguinosissima guerra civile iniziata nel 2011. Eppure, qualche segnale di fiducia c’è. Il tasso di cambio della lira siriana contro il dollaro si è di gran lunga rafforzato dopo il collasso accusato in coincidenza con la caduta del regime di Bashir al Assad.
Nelle principali città siriane per un dollaro occorrono ora poco più di 10.000 lire contro il cambio fisso di 14.900 lire imposto da Assad. Il cambio era esploso fin sopra 19.000 lire agli inizi del dicembre scorso. Prima della guerra, però, stava solamente a 47:1. Dunque, oggi sarebbe di quasi un terzo più forte rispetto a pochi mesi fa. Evidentemente, i siriani si starebbero fidando del nuovo corso. Tant’è che la banca centrale ha appena comunicato che non perseguiterà più coloro che scambiano valuta per operazioni transfrontaliere e rimesse. Nel 2020, Assad pubblicò un decreto con cui puniva a non meno di 7 anni di lavori forzati quanti contrabbandassero valute straniere. Ora sono permessi persino i pagamenti in dollari, euro, ecc.
Sanzioni alla Siria, al Jolani in prova
La fine di questi divieti, puniti severamente fino a poco tempo fa, sarebbe la conferma dell’attecchimento della fiducia verso la valuta domestica. La fine delle sanzioni occidentali alla Siria offrirebbe ulteriore sollievo a Damasco, anche se le cancellerie straniere percepiscono il rischio di rafforzare il nuovo regime prima ancora di capire come si comporterà con le minoranze. L’assassinio di decine di esponenti vicini ad Assad nelle scorse settimane ha confermato i dubbi di molti all’estero, sebbene al Jolani abbia condannato le violenze e promesso che punterà ad unire il suo Paese. Troppo fresco il ricordo di simili affermazioni nell’Afghanistan dei talebani tornati al potere.
giuseppe.timpone@investireoggi.it