La Banca Centrale Europea (BCE) ha alzato i tassi d’interesse anche alla riunione del 4 maggio scorso. In particolare, ha portato il tasso sui depositi bancari dal 3% al 3,25%. Un ritocco all’insù che peserà sulle rate del mutuo a tasso variabile. Infatti, quel tasso è la remunerazione che Francoforte offre alle banche commerciale che depositano presso i suoi sportelli la liquidità in eccesso rispetto alle riserve obbligatorie. Ad esso si adeguano i prestiti che si erogano le banche tra di loro e che a loro volta esitano quotidianamente l’Euribor.
Altri rincari in vista per mutuo a tasso variabile
L’Euribor a 3 mesi, poi, è il riferimento per un mutuo a tasso variabile. Le banche prestano denaro alle famiglie garantito dagli immobili applicando a tale tasso un cosiddetto “spread”, ovvero un margine d’interesse. Come potete notare, la politica monetaria è una complessa cinghia di trasmissione che parte dalla banca centrale e arriva fino alle tasche dei cittadini.
La stretta della BCE di questi mesi è stata drastica. Da quando è nato l’euro non c’era stato qualcosa di simile. Del resto, l’alta inflazione trainata dal boom dei prezzi dell’energia richiedeva una risposta immediata e dura. Pensate che l’Euribor a 3 mesi si affacciò nel 2022 al -0,57%. Ora, sfiora il 3,30%. Su un mutuo a tasso variabile di 150.000 euro e della durata di 25 anni, immaginando uno spread dello 0,75%, la rata mensile sarebbe lievitata dai circa 511 euro del gennaio 2022 ai 794 euro di questo mese. In appena 16 mesi, l’importo risulterebbe esploso di oltre 280 euro, cioè del 55%.
Per la prima volta in quindici anni, poi, il mutuo a tasso variabile è diventato più costo del tasso fisso. Al momento, anche solo immaginare di richiederne uno appare una follia. In effetti, l’Euribor dovrebbe salire anche nei prossimi mesi. I futures segnalano che la scadenza trimestrale si porterebbe fino al 3,75% entro il mese di settembre, restando nei dintorni di tale soglia nei mesi successivi.
Cosa succede sul mercato dei prestiti
C’è da dire, però, che gli stessi futures segnalano una discesa dell’Euribor al 2,70% entro l’anno prossimo e al 2,50% entro la fine del 2025. Quindi, le rate dovrebbero iniziare a “sgonfiarsi” già nel corso del 2024. E tenete presente che le previsioni potrebbero essere riviste al ribasso. Così come il mercato non aveva previsto il boom dell’inflazione e dei tassi, oggi starebbe sottovalutando la discesa di entrambi. Perlomeno, lo speriamo tutti. Bassa inflazione e interessi più contenuti farebbero bene alle nostre tasche, non solo ai titolari di un mutuo a tasso variabile.
Quando si richiede un prestito per l’acquisto di un immobile, bisogna sempre fare ragionamento di lungo periodo. Concentrarsi sulle condizioni attuali del mercato può risultare fuorviante. La tipologia del tasso prescelta incide notevolmente nella prima parte dell’ammortamento, quando il capitale da rimborsare è ancora elevato. Grosso modo, se abbiamo acceso un mutuo a tasso variabile della durata di 25 anni, dovremmo guardare con interesse alla prima dozzina di anni. Se ritenessimo che i tassi rimarrebbero elevati per tutto quel periodo – ammesso che fosse possibile fare previsioni così a lungo termine – meglio optare per il tasso fisso. Viceversa, dovremmo dare qualche chance al tasso variabile.
Legame inflazione-tassi
Il mutuo a tasso fisso, invece, è legato all’IRS, il quale risente dei rendimenti obbligazionari a lungo termine. E questi a loro volta rispecchiano le aspettative d’inflazione. Il paradosso di questa fase lo possiamo riassumere così: la BCE alza i tassi per combattere l’inflazione.