Figuracce ne abbiamo? Non era semplice compiere un disastro politico e sul piano comunicativo come hanno fatto in questi giorni Partito Democratico e Movimento 5 Stelle in Basilicata. Reduci dalla scoppola abruzzese, Elly Schlein e Giuseppe Conte avevano la necessità di ringalluzzire il rispettivo elettorato sulle prospettive magnifiche del “campo largo”. E poiché nella regione lucana si vota tra un mese, quella sarebbe stata l’occasione per mostrarsi compatti su un candidato e allontanare le voci di una crisi nei rapporti tra i due leader dopo l’inattesa vittoria in Sardegna, che andrebbe più che altro derubricata ad auto-sconfitta del centro-destra.
Il campo largo si beve un amaro lucano
Prima che le urne si chiudessero in Abruzzo, il campo largo aveva puntato sul nome di Angelo Chiorazzo, uomo che nelle intenzioni del PD avrebbe dovuto far convergere anche i “grillini” per la sua vicinanza a Roberto Speranza, ex ministro della Salute nei governi Conte bis e Draghi. Ma incassata la sconfitta de L’Aquila, dove il Movimento ha perso i due terzi dei suoi consensi, Conte ha rimescolato le carte e chiesto un nuovo candidato. Accontentato. Il PD rimpiazza Chiorazzo con Domenico Lacerenza, oculista neppure informato delle trattative sul suo nome. Ore dopo se ne uscirà sostenendo di non averne saputo nulla e di accettare la candidatura.
A quel punto, a sfilarsi sono i centristi. Matteo Renzi prima e Carlo Calenda subito dopo avvertono il PD che non accetteranno un candidato imposto da Conte. E l’ex premier a sua volta dichiarerà che non sosterrà quelle “famiglie” che governano la Basilicata da decenni. Riferimento esplicito a Gianni Pittella, ex euro-parlamentare del PD e accreditato di un bel pacchetto di voti. Alle ultime elezioni politiche, Azione ottenne qui il 10%. Rivolta della base dem e anche Lacerenza si ritira.
Centristi via da PD e 5 Stelle
Ma Renzi e Calenda non ci stanno e annunciano il loro appoggio al governatore uscente di centro-destra (Forza Italia), Guido Bardi. Come se non bastasse, il capolavoro politico di Schlein prosegue e si sposta in Piemonte. Qui, senza concordare nulla con l’unico alleato di peso che sembra esserle rimasto, annuncia che come governatore correrà Gianna Pentenero. Dalle parti di Conte replicano che andranno per conto loro. In pratica, il campo largo non è morto. Semplicemente, si è spostato a destra. La coalizione guidata su base nazionale dalla premier Giorgia Meloni vede entrare nella sua orbita i centristi, che pur per questioni di ripicche politiche e personali, stanno allontanandosi quasi irreversibilmente dal Nazareno.
Oltre il tafazzismo, sindrome da Papeete
Ennesimo caso di tafazzismo, senza dubbio. Ma sarebbe riduttivo pensare che tanto disastro sia dovuto semplicemente all’incapacità di Schlein di fare la leader di un grande partito e alla mancata volontà di Conte di stringersi al PD in un abbraccio per sé mortale. Il peccato originale scaturisce da quell’apertura a formare un nuovo governo con i 5 Stelle nell’agosto del 2019. La Lega si era sfilata dalla maggioranza dopo il “Papeete” di Matteo Salvini. Il PD aveva cannoneggiato contro i grillini fino al giorno prima e in quella che fu a tutti gli effetti una capriola intellettuale per non arrivare al voto anticipato, finì per averli come alleati senza un briciolo di programma che li accomunasse.
Da allora non è cambiato sostanzialmente nulla. PD e grillini si detestano sia come elettori che leader. E in comune hanno ben poco sul piano valoriale e programmatico.
Altro che campo largo, Conte punta alle elezioni europee
Conte non ha alcuna motivazione nel breve a rendere facile la vita a Schlein. Alle elezioni europee di giugno, i partiti corrono con il proporzionale, cioè ognuno per sé. Se il Movimento prendesse (troppi) meno consensi del PD, il rischio sarebbe la sua fine politica. E allora ha tutta la convenienza a rimarcare le distanze dal Nazareno. Anche perché se Schlein riportasse un risultato sotto le aspettative, sarebbe probabilmente disarcionata a favore di un ennesimo segretario dal profilo più centrista. Per lui si aprirebbero praterie a sinistra. Potrebbe tornare a sognare la leadership del campo largo. Il problema sarebbe nel caso un altro: a quel punto il PD non vorrebbe più perseguire un’alleanza con lui, bensì cercherebbe forse di richiamare a sé i centristi. Che, però, non arrivano lontanamente alle percentuali di Conte.
Sembra che qualsiasi cosa facciano, sbaglino. E se il PD cercasse di recuperare consensi partendo da un’analisi seria delle ragioni per cui non vince più da numerosi anni? Se alle alchimie elettorali preferisse una revisione della propria identità, divenuta sempre più elitaria e autoreferenziale? Sarebbe l’unica strada percorribile per un partito che intenda fare politica nel lungo periodo e non ambire ad alzare il dito medio agli avversari alla prima occasione utile. Ma il Papeete ha svelato il vero male dei dem: la bulimia di potere, che impedisce loro di restare a lungo sprovvisti di una carica pubblica senza contorcersi in acrobazie politiche sempre più parossistiche.