Il First Minister della Scozia, Nicola Surgeon, non ci sta ad assistere alla separazione del Regno Unito dalla UE e ha invocato il diritto a un secondo referendum sull’indipendenza, dopo quello indetto nel settembre del 2014, quando prevalsero con il 55% i favorevoli all’unione con Londra. Dalla sua, la leader battagliera di Edimburgo fa valere quel 55% dei consensi contrari alla Brexit registratisi in Scozia. Fosse stato per il popolo del kilt, il Regno Unito non avrebbe mai divorziato dalla UE.
Quali sono gli interessi economici alla base della richiesta della regione a restare legati alle istituzioni comunitarie e a chiedere persino l’indipendenza dal resto del Regno Unito, pur di non separarsi dalla UE? (Leggi anche: Referendum indipendenza Scozia, quale moneta?)
Esportazioni scozzesi per due terzi verso il Regno Unito
Nel 2015, la Scozia possedeva un pil di 152 miliardi di sterline, pari a 28.733 sterline per ciascuno dei suoi abitanti. Le esportazioni non petrolifere rappresentavano oltre la metà di quel pil, ovvero 78,6 miliardi, anche se il 63% di esse si sono avute verso il resto del Regno Unito, cioè 49,8 miliardi. Allo stesso tempo, le importazioni non petrolifere sono state pari all’incirca dello stesso livello, ma con una differenza eclatante tra gli scambi con il resto del paese e quelli con il resto del mondo.
Con il primo, Edimburgo registra un passivo commerciale di circa 15 miliardi di sterline all’anno, mentre con il secondo vanta un attivo di oltre 15 miliardi. Nel dettaglio, verso la UE esportava nel 2015 merci e servizi per complessivi 12,3 miliardi, al netto di petrolio e gas, importando da essa 4,9 miliardi. I principali mercati di sbocco per le merci scozzesi sono Olanda, Francia e Germania, i quali insieme rappresentano quasi la metà dell’insieme delle esportazioni verso la UE.