Il debito pubblico italiano scenderà anche quest’anno in rapporto al PIL. Resta il fatto che sia molto alto, sopra il 145%. Quasi l’85% di esso si ha in forma di titoli di stato. Ve ne sono in circolazione per circa 2.300 miliardi di euro, di cui appena un ventesimo o poco più in possesso delle famiglie italiane. Il CEO di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, ha rilasciato qualche giorno fa un’intervista a La Stampa nella quale non si mostra preoccupato per il nostro debito pubblico.
La proposta di Messina
Non è la prima volta che Messina si esprime con toni rassicuranti e persino dal sapore “sovranista” sul tema. Tra l’altro, il suo nome era circolato prima della nascita del governo Meloni come possibile ministro dell’Economia. A detta del banchiere, l’Italia potrebbe varare uno scudo fiscale di sostegno ai titoli di stato. Come? Parte dei capitali rimpatriati dall’estero devono essere investiti in bond sovrani. “Hai due miliardi all’estero? Uno lo investiti in titoli di stato”.
La proposta si accompagna da un’altra previsione, come quella di obbligare i fondi pensione che investono all’estero una percentuale altissima di capitali raccolti in Italia a comprare BTp. Spiega che molte volte la finanza straniera usa i denari dei risparmiatori italiani per comprare le nostre aziende. In sostanza, investimenti coattivi in titoli di stato sarebbero un modo per compensare le troppe storture che si sarebbero create sui mercati ai danni del sistema Paese.
Scudo fiscale a sostegno dei BTp
Le famiglie italiane posseggono circa 1.835 miliardi in conti bancari perlopiù infruttiferi. Nulla sembrano a confronto i circa 150 miliardi o meno investiti in titoli di stato domestici.
Messina, però, pone l’accento su un tema di fondo che esiste: lo spread non ci sarebbe se gli italiani stessi investissero nel loro Paese. Il fatto che non lo facciano è indice anche di carenti strutture finanziarie domestiche. C’è da dire che in loro vece ci stanno pensando banche e assicurazioni tricolori ad investire massicciamente sui titoli del nostro debito. D’altra parte è pur vero che se esistono capitali all’estero nascosti al Fisco, si dovrebbe cercare il modo di renderli proficui per l’economia italiana. La proposta del CEO di Intesa non sarebbe errata, dato che presuppone un “do ut des” tra stato e cittadino e non una imposizione bella e buona ad investire in BTp.