Proprio in questi ultimi giorni, l’ex premier Matteo Renzi ha sbandierato i risultati ottenuti dalla sua riforma della scuola, dimenticando due particolari: il primo riguarda il fatto che il Miur, proprio in questi ultimissimi giorni, ha ammesso di fatto di aver organizzato male il concorso scuola, che ha lasciato decine di migliaia di docenti senza cattedra, nonostante fossero state calcolate sul fabbisogno; il secondo concerne il fatto che gli insegnanti italiani sono la categoria della Pubblica Amministrazione con lo stipendio più basso in assoluto e senza scatti di anzianità da molti anni.
Tralasciando questi aspetti, è su altre questioni che si può valutare l’impegno di un governo sulla scuola; due questioni: la prima riguarda il sovraffollamento delle classi, fino a 30 allievi, che non può permettere che il lavoro si svolga al meglio e che bambini e giovani vengano formati come dovrebbero; la seconda riguarda la maniera mediante la quale il governo intende risparmiare ancora una volta su questo comparto: tagliando 1,5 miliardi di euro in vista della costituzione dei ‘licei brevi’.
Un’intervista – Diventare insegnante e precari nell’economia dello Stato: perché il docente di ruolo non conviene alla scuola ‘azienda’?
Perché il liceo breve fa male all’Italia e la situazione in Europa
È la terza volta che i governi italiani provano a introdurre un ridimensionamento della quantità degli anni che bambini e giovani trascorrono a scuola. Iniziamo dal primo tentativo: era il lontano 2000 e il ministro era Berlinguer, la sua riforma prevedeva una vera e propria rivoluzione dei cicli di studio: sette anni per il primo (al posto di otto, 5 alla primaria e 3 alla secondari di primo grado), un biennio comune e un triennio di specializzazione – il pregio è che almeno non tagliava la formazione ‘finale’. Poi, fu il turno di Profumo, ministro dell’istruzione del governo Monti: in quel caso, la proposta era proprio riguardante i licei brevi – all’epoca, il risparmio possibile derivante dalla messa in atto della proposta venne quantificato da Il Sole 24 Ore in 1 miliardo e 380 milioni di euro.
Ora, giunge il ministro Fedeli: quest’anno si darà avvio alla sperimentazione del liceo breve in un numero ancora limitato di scuole e di classi. Dove hanno fallito i predecessori, sembrano riuscirvi gli attuali governi di centro-sinistra: se dovesse andare a regime, si perderanno circa 40mila cattedre. Ma vediamo come ci si regola in Europa: sono 15 i paesi che mantengono il liceo a cinque anni (tra cui Italia, Germania e Danimarca), e 13 sono quelli che hanno una conclusione anticipata di un anno dei cicli di formazione scolastica (tra cui Spagna e Francia).
Altri veri problemi della scuola – Amianto a scuola: 350mila studenti e 50mila insegnanti a rischio, 6mila morti, i dati dell’Osservatorio nazionale amianto.
L’ignoranza dei giovani italiani: perché il liceo breve è pedagogicamente una follia
L’Italia non è uno dei paesi in cui la formazione scolastica funzioni meglio (ed usiamo un eufemismo): i nostri giovani si posizionano continuamente agli ultimi posti in Europa. Tagliare, in questo momento storico, la formazione in Italia significa commettere una follia: che il sistema scolastico debba divenire più agile, più formativo, più concreto, è un dato di fatto, ma renderlo più breve significa soltanto escludere i giovani dalla possibilità di un anno in più in cui apprendere non soltanto un mestiere, ma soprattutto maturare una personalità umana evoluta. Un disastro pedagogico e formativo che consegnerebbe l’Italia a un futuro ancora più ‘tetro’, ma l’esigenza della spending review si fa ancora sentire. Meglio tagliare la scuola che andare a prendere i soldi altrove, dove ci sono veramente. Dove, allora? Tra gli evasori fiscali e i super-ricchi.