Sono arrivate buone notizie per i consumatori italiani per il mese di ottobre. Il tasso d’inflazione è crollato all’1,8% dal 5,3% di settembre, scendendo ai livelli minimi sin dal mese di giugno del 2021. Le attese erano per un dato al 2,3%. La discesa è stata possibile per due ragioni fondamentali. La prima è che i prezzi dei prodotti energetici regolamentati e non sono precipitati oltre le previsioni. La seconda è quella che gli economisti chiamano “effetto base” e che tante cose ci fa capire circa l’impatto effettivo che i numeri hanno quando andiamo a fare la spesa.
L’effetto base è più difficile da spiegare che da capire. Nell’ottobre dello scorso anno, i prezzi al consumo esplosero in Italia del 3,3% su base mensile a causa del boom del costo dell’energia. In termini annuali, vi fu un’impennata dell’11,5% stando all’indice FOI. Questi misura l’andamento dei prezzi per un paniere-tipo di una famiglia di operai e impiegati, al netto dei tabacchi. In pratica, l’inflazione del mese scorso su base annua è risultata assai bassa rispetto ai mesi precedenti, in quanto l’indice dei prezzi si è confrontato con il dato elevato registrato nello stesso mese del 2022.
Fare la spesa costa ugualmente di più
E questo ci fa capire una cosa senza il bisogno di diventare economisti: l’inflazione misura la variazione dei prezzi al consumo, non il loro livello assoluto. Quando diciamo che l’inflazione sale, significa che la crescita dei prezzi accelera. E quando diciamo che scende, la crescita dei prezzi decelera. Immaginate di andare a 120 km all’ora in autostrada e in prossimità del casello rallentate a 80 km orari. State decelerando, ma ciò non significa che tornate indietro. Solo se ingranaste la retromarcia, effettivamente andreste all’indietro.
Ecco, parlando di prezzi, la retromarcia s’ingrana solo quando la variazione tendenziale dei prezzi è negativa.
Inflazione giù, ma siamo più poveri
In Italia, grosso modo il boom dell’inflazione iniziò due anni fa, verso la fine del 2021. Da allora, stando sempre all’indice FOI, i prezzi al consumo sono esplosi del 13,4%. A titolo di confronto, è la stessa crescita che avevano registrato negli undici anni e mezzo prima. Questo significa che la crescita dei prezzi nell’ultimo biennio ha subito un’accelerazione di quasi sei volte rispetto al periodo precedente. Se ci sentiamo più poveri quando facciamo la spesa, non è una sensazione. I dati Istat ci dicono, infatti, che gli stipendi medi nel 2022 sono aumentati intorno all’1% e nei primi nove mesi di quest’anno i rinnovi contrattuali hanno portato a casa il 2,6%. E’ come se guadagnassimo il 10% in meno rispetto a due anni fa.
Chiaramente, non tutti i prodotti e servizi sono rincarati in egual misura. Pensate a quanto sia aumentato il prezzo del pane negli ultimi due anni. Chiaramente, una famiglie con stipendio basso accusa maggiormente il colpo, visto che destina una percentuale maggiore del proprio reddito alla spesa alimentare. Se, invece, le tariffe dei biglietti aerei s’impennano, ma io non viaggio, va da sé che non incidono sulla mia personale inflazione. In generale, comunque, siamo un po’ tutti più poveri, ad eccezione di chi ha la possibilità di scaricare sugli altri gli aumenti (redditi autonomi) e di quanti riescano ad investire la liquidità accumulata in passato in asset redditizi.