Immaginiamo di volere investire su un arco temporale sufficientemente lungo da poter aspirare a un rendimento positivo anche in termini reali, cioè tenuto conto del tasso d’inflazione. Il BTp marzo 2040 e cedola 3,10% (ISIN: IT0005377152) sarebbe apparentemente ottimale da questo punto di vista. Vediamo, però, quanto ci frutterebbe effettivamente alla scadenza.
Iniziamo col dire che il titolo lo si acquistava a 125,30 venerdì scorso. Se volessimo investirci 10.000 euro nominali, dovremmo sborsarne 12.530 per metterlo in portafoglio. A questa somma bisogna aggiungere il rateo degli interessi maturati dopo l’1 settembre scorso, data in cui è stata staccata la cedola semestrale, quest’ultima pari all’1,55% lordo.
Due BTp 2040 a confronto: la cedola più alta rende di meno?
Per ogni anno e fino alla scadenza del 2040, incasseremmo cedole nette annuali per il valore di 271,25 euro, a cui si somma l’ultima cedola da 135,625 euro. In totale, avremmo incassato 5.289,375 euro. Sommati al capitale rimborsato di 10.000 euro, alla scadenza avremmo complessivi 15.289,375 euro, ben più dei 12.547 euro sborsati. La differenza positiva di 2.742,375 euro, rapportata al valore effettivo investito, equivarrà al rendimento netto totale, che diviso per i 19,45 anni della durata, farebbe l’1,12%. Tuttavia, sulla minusvalenza di 2.530 euro accusata potremmo vantare un credito d’imposta, da utilizzare entro 5 anni e pari al 12,50% della somma, cioè a 316,25 euro. Questo valore, rapportato al valore e suddiviso al numero degli anni dell’investimento, ci garantirebbe un rendimento extra dello 0,13% all’anno, per cui il rendimento totale salirebbe all’1,25%.
Rendimenti ridotti all’osso
In questi calcoli, non abbiamo preso in considerazione il costo dell’imposta di bollo sui conti titoli, la cui apertura risulta obbligatoria per investire in uno strumento finanziario.
Ad occhio e croce, il BTp 2040 dovrebbe rendervi effettivamente non più dell’1% netto all’anno e senza considerare gli eventuali costi caricati dalle banche ai clienti su un prodotto come il conto titoli. Meno della probabile inflazione media del periodo. Questi sono ormai diventati i livelli di guadagno per un investimento obbligazionario relativamente sicuro e di lungo periodo in Italia. All’estero, dove i rendimenti negativi sono la norma fino alle scadenze lunghe (non parliamo della Germania), va persino molto peggio. Lì, bisogna spostarsi su assets più rischiosi per aspirare a guadagnare anche meno che con un BTp di pari durata. Per questo, i bond sono diventati strumenti speculativi, che il mercato rivende alla prima occasione utile per realizzare plusvalenze, così da mettere in cassa un minimo di guadagno in breve tempo e posizionarsi subito dopo per cogliere nuove opportunità su altri titoli.
Perché il Tesoro non emette un BTp a 100 anni?