Per gli statali la pensione potrebbe tornare ad allontanarsi. Con l’esaurimento di Quota 103 a fine anno e il ripristino integrale delle regole Fornero, si tornerà alle uscite ordinarie previste dalla riforma del 2011. Cioè a 67 anni di età o, in alternativa, con 41-42 anni di contributi a prescindere dall’età anagrafica.
Le regole sono uguali per tutti, ben inteso, sia per lavoratori privati che pubblici. Ma, mentre nel primo caso sono attive per molti le possibilità di sfruttare i prepensionamenti previsti dai contratti di espansione, di solidarietà e l’isopensione, per i secondi non c’è scampo.
Il buco Inps dei dipendenti pubblici
Ma quanto costano le pensioni degli statali? Stando agli ultimi dati pubblicati dall’Inps, a fine 2022 le pensioni in pagamento nella Gestione Dipendenti Pubblici era pari a 3.107.983. In aumento rispetto all’anno precedente dello 0,8%. L’importo complessivo annuo delle pensioni era di 83.318 milioni di euro, con un incremento percentuale del 5,2% rispetto al 2022. L’importo medio mensile delle pensioni vigenti è pari a 2.062 euro.
Sempre al 1 gennaio 2023 risulta che quasi il 59% delle pensioni sono di natura anticipata o di anzianità per i militari e, in particolare, derivanti da Quota 100. Queste prestazioni assorbono più della metà della spesa complessiva riservata alla gestione dei dipendenti pubblici che non potrà che peggiorare col passare del tempo.
Le pensioni di vecchiaia, al contrario, rappresentano solo il 14% del totale, giusto per far capire l’ordine di grandezza e il rapporto che c’è nel pubblico impiego fra pensioni anticipate e ordinarie. Quindi sono quelle anticipate che hanno messo a soqquadro i conti rendendo di fatto insostenibile la gestione che, di fatto, è deficitaria per circa 40 miliardi di euro.
Più pensionati che lavoratori
Analizzando attentamente i dati, però, si scopre un altro problema. Il numero dei pensionati pubblici ha quasi raggiunto quello dei lavoratori: 3,107 milioni contro 3,249 milioni per un rapporto di quasi 1:1. Situazione che – come avverte il presidente dell’Inps Pasquale Tridico – rende di per sé insostenibile il pagamento delle pensioni. Il rapporto minimo dovrebbe infatti essere 1:1,5, cioè 10 pensionati ogni 15 lavoratori.
Fortunatamente le altre gestioni pensionistiche dell’Inps sono attive e non presentano questa problematica. Motivo per il quale ben si comprende che il ritorno pieno delle regole Fornero dal 2024 toccherà in particolar modo i dipendenti delle amministrazioni statali, in particolare della scuola, della sanità e degli enti locali. Forse dell’ordine e militari restano esclusi, visto che per loro le regole per andare in pensione non sono cambiate col la riforma Fornero del 2011.
Pensione sempre più lontana per gli statali
Dall’analisi di questi numeri ben si può comprendere come il comprato dei dipendenti pubblici rappresenti una spina nel fianco per i conti dell’Inps. E, allo stesso modo, la gestione deficitaria, ereditata dall’ex Inpdap, impedisce ulteriormente una riforma strutturale delle pensioni a livello generale. Oltretutto, l’importo dei trattamenti pensionistici è il doppio della media nazionale delle pensioni (1.153 euro) e necessita di una rivalutazione periodica, per via dell’inflazione, più consistente. Cosa che aggrava ancora di più la gestione pensionistica.
In quadro è appesantito anche dalle previsioni. Entro il 2033 andranno in pensione circa 1 milione di statali, un terzo della forza lavoro che dovrà anche essere rimpiazzata. Avendo il personale statale un’età media di oltre 50 anni è logico presupporre che si sarà un forte incremento delle domande di pensione, anche in assenza di deroghe alle vie ordinarie.
Non basterà l’aumento dell’età pensionabile, previsto a partire dal 2026, a contenere l’ondata dei baby boomers, arriveranno sicuramente altri interventi legislativi che restringeranno le possibilità di pensionamento anticipato.