Senza Ape sociale i disoccupati come fanno? Ecco le alternative alla nuova pensione a 63 anni

L'addio all'Ape sociale lascerà strascichi, soprattutto nei disoccupati che vedono allontanarsi la pensione in maniera considerevole.
1 anno fa
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Foto © Pixabay

Ape sociale Addio. Ed ecco che iniziano a manifestarsi quelle che a tutti gli effetti sono delle lamentele da parte dei lavoratori o dei contribuenti, che devono fare i conti con queste nuove misure introdotte per le pensioni dal Governo. La legge di Bilancio infatti ha prodotto molte novità per la materia previdenziale. E, come sempre accade, alcuni lavoratori si trovano spiazzati per dei progetti che facevano, e adesso si scontrano con la realtà.

Un nostro lettore ci espone una situazione che sicuramente è spiacevole, ma che doveva prevedere prima, dal momento che la misura che lui aveva puntato come quella idonea alla pensione, era temporanea.

L’Ape sociale infatti non è mai stata una misura strutturale del sistema. Lo dimostra il fatto che nel 2023 è stata confermata fino al 31 dicembre e non oltre. Magari ci si aspettava una nuova proroga, ma pensare a una misura sperimentale nel lungo periodo non è mai una cosa saggia da fare.

“Ciao, sono un lavoratore di 59 anni in naspi. Da quando la mia azienda ha chiuso i battenti non sono più riuscito a trovare lavoro, vista la mia età. Alla fine della Naspi, il prossimo anno, compirò 60 anni e 30 di contributi versati. Pensavo di dover tirare avanti con i miei risparmi fino ai 63 anni e poi poter prendere l’Ape sociale per arrivare alla pensione a 67 anni. Ma se per Ape sociale a 63 anni adesso ci vogliono 36 anni di contributi, chi è disoccupato come me con “soli” 30 anni di versamenti e, dunque, non ha accumulato i 36 anni di contributi richiesti come fa? Non si trova lavoro a 60 anni. Esiste qualche altra misura ponte? O a 60 anni si resta senza sostegno e senza lavoro nonostante 30 anni di contributi versati?”

Addio all’Ape sociale, ma la misura non poteva essere considerata come parte integrante del sistema nemmeno prima

Un consiglio che ci sentiamo di dare ai nostri lettori e ai lavoratori in genere è di fare affidamento solo sulle misure ordinarie.

Nel sistema previdenziale italiano infatti sono sostanzialmente due le misure che ogni anno ci sono fisse e che consentono le uscite con ampio margine di programmazione. A 67 anni di età una volta raggiunti almeno 20 anni di contributi, si può andare in quiescenza con la pensione di vecchiaia. Chi come il nostro lettore ha 59 anni di età, al futuro deve guardare con un occhio a questa misura e non alle altre.

Spesso infatti il Governo vara misure tampone, che durano poco e che alleggeriscono i requisiti solo per chi ha la fortuna di entrare dentro. Un tipico esempio è stato il triennio di quota 100. La misura ha permesso di andare in pensione, a partire dai 62 anni, a molti lavoratori. Bastavano 38 anni di contributi. La misura dal 2021 non esiste più. Ha sbagliato quindi chi puntava a questa misura in ottica futura. Si sapeva già in origine che la misura era temporanea.

Senza Ape sociale i disoccupati come fanno? Ecco le alternative alla nuova pensione a 63 anni

Il nostro lettore, a prescindere da ciò che ha fatto il Governo adesso, sbagliava quindi a guardare all’Ape sociale. Anche se fosse rimasta in funzione nel 2024, non è detto che sarebbe rimasta tale pure fino al 2027, perché in quell’anno lui compie 63 anni di età. La situazione del lettore è al limite. Perché lui ha ragione nel sostenere che a 60 anni di età il lavoro non si trova facilmente. Ma le alternative all’Ape sociale esistevano già prima.

Per esempio, se ha una invalidità pensionabile pari all’80%, a 61 anni di età può andare in pensione con minimo 20 anni di contributi. L’invalidità deve essere quella specifica per le mansioni che svolge comunemente. A 64 anni di età invece possono uscire con 20 anni di contributi quanti hanno iniziato a versare dopo il 31 dicembre 1995.

Il nostro lettore avendo oggi 30 anni di contributi non rientra nella misura. A prescindere dal fatto che la pensione si prende solo se arriva a un importo pari o superiore a 2,8 volte l’assegno sociale.

Le alternative ci sono, ma sono misure assistenziali

Il nostro lettore che ha perso il lavoro prende la Naspi. Al termine della Naspi inevitabilmente dovrà attingere ai suoi risparmi. A meno che le condizioni patrimoniali e reddituali, e quindi di ISEE, non gli consentano di rientrare nell’Assegno di inclusione. Si tratta del nuovo strumento di contrasto alla povertà che prenderà, da gennaio, il posto del reddito di cittadinanza. Uno strumento di sostegno a chi ha poco per vivere.

Una misura non certo facile da prendere, soprattutto da chi come lui, ci parla di risparmi e di Naspi. Due condizioni queste che genereranno sicuramente un ISEE che lo potrebbero escludere dal sussidio. Infatti l’ISEE che userà sarà quello del 2022 come anno di produzione di reddito e patrimoni. E lui sicuramente nel 2022 non era a zero o quasi. Il suo caso va approfondito quindi nel 2024, al termine della Naspi. Per verificare magari se con l’ISEE corrente può godere di un vantaggio riguardo alla possibilità di percepire l’assegno di inclusione.

Giacomo Mazzarella

In Investireoggi dal 2022 è una firma fissa nella sezione Fisco del giornale, con guide, approfondimenti e risposte ai quesiti dei lettori.
Operatore di Patronato e CAF, esperto di pensioni, lavoro e fisco.
Appassionato di scrittura unisce il lavoro nel suo studio professionale con le collaborazioni con diverse testate e siti.

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