A Natale, forse complici i bassi volumi scambiati, i mercati non sono stati più buoni con l’Italia. Lo spread è salito fin sopra i 146 punti base e il rendimento a 10 anni del BTp ha superato l’1,10%. Dopo una tregua durata circa 10 mesi, sembra che l’effetto Draghi stia funzionando al contrario. Non perché il mercato abbia smesso di avere fiducia nel nostro premier, anzi. Il fatto è che molti all’estero vedono il suo governo al capolinea e, soprattutto, temono che al Quirinale vada a febbraio qualcun altro.
Alla conferenza stampa di fine anno, Mario Draghi ha lanciato nei fatti la sua candidatura per il Colle. Nessuno l’ha raccolta. A destra gira il nome di Silvio Berlusconi, a sinistra c’è confusione. Il Movimento 5 Stelle vorrebbe una donna, purché non fosse eletto presidente della Repubblica il leader di Forza Italia o lo stesso Draghi.
Gli scenari sono grosso modo due: il successore di Mattarella sarà Draghi o no. Nel primo caso, chi guiderà la legislatura fino al 2023? Nel secondo, che fine farà il governo? Chiaramente, i mercati auspicano che il premier diventi capo dello stato, confidando che dal Quirinale riesca a gestire in qualche modo anche Palazzo Chigi sia prima che dopo le elezioni politiche. Se questo non accadesse, serpeggia il timore che l’Italia finisca per perdere i soldi dell’Europa.
Soldi dell’Europa a rischio senza Draghi
Il cosiddetto Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) consta di circa 235 miliardi, di cui oltre 200 miliardi erogati da Bruxelles tramite il “Recovery Fund”. Di questi, una settantina sono a fondo perduto. Ora, questo denaro ha iniziato a fluire nelle casse di Roma in cambio di centinaia di micro-riforme da approvare e implementare a sostegno della crescita economica nel medio-lungo termine e della sostenibilità ambientale. Tuttavia, la fiducia è un ingrediente fondamentale che sta alla base dell’accordo sottoscritto dai grandi del continente un anno e mezzo fa.
Chi ha dimenticato come Draghi sia arrivato alla guida del governo, forse oggi farà fatica a comprendere. Giuseppe Conte vacillò senza giri di parole per la preoccupazione tra le cancellerie straniere circa la sua inaffidabilità nel gestire la montagna di soldi dell’Europa in arrivo fino al 2026. Matteo Renzi si assunse il compito di fungere da maggiordomo assassino, facendo tirare un sospiro di sollievo un po’ tutti in Italia e all’estero. Draghi non è solo il premier chiamato a scrivere il Pnrr dopo mesi di inconcludenza del predecessore, forse distratto dalle primule anti-Covid e dalla sua fama di Winston Churchill foggiano; egli è stato e resta il fideiussore a cui l’asse franco-tedesco ha affidato 200 miliardi di euro.
Non è un caso che Conte cadde poco prima che i soldi dell’Europa arrivassero davvero. Non è un caso neppure che i mercati abbiano premiato l’ingresso di Draghi a Palazzo Chigi, tutelandoci sinora dallo spread. Senza l’ex banchiere centrale in un ruolo di leadership da qui a tutta la durata del Pnrr, i rubinetti della liquidità rischiano di esserci chiusi. Attenzione, non vi sarebbe alcun automatismo, ma la Commissione europea tornerebbe a cercare il pelo nell’uovo per allungare i tempi di erogazione di ogni tranche e boccerebbe qualsiasi misura del governo italiano non perfettamente in linea con le richieste. Per non parlare della pignoleria sui conti pubblici, specie se Draghi finisse il suo lavoro in Italia prima che l’Europa avrà riformato il Patto di stabilità. I mercati si mostrano nervosi al solo pensiero che il futuro della Nazione e dell’intera Europa sia nelle mani dei franchi tiratori in Parlamento.