Il problema delle pensioni future in Italia si chiama salario minimo. Cosa che da noi non esiste. L’Italia, come noto, è uno dei pochi Paesi fra i 27 membri della Ue a non aver ancora adottato il salario minimo. Ne deriva che, nel sistema contributivo, a bassi livelli di retribuzione non possa corrispondere un domani una pensione dignitosa.
Con l’effetto che lo Stato debba continuamente intervenire con politiche assistenziali, per sostenere il potere di acquisto di chi non arriverà a percepire una rendita sufficiente per vivere.
Pensioni: cosa non funziona
A fare il punto sulla criticità del nostro sistema welfare è il presidente uscente dell’Inps Pasquale Tridico in una intervista rilasciata dal Salone Internazionale del Libro a Tornio. Secondo il numero dell’Istituto, la sostenibilità delle pensioni passa anche e soprattutto dalla necessità di garantire a chi lavora una retribuzione dignitosa al pari di quanto già avviene da anni negli altri Paesi Ue. Cioè un salario minimo garantito per legge.
Mentre gli altri membri europei – dice Tridico – hanno adottato misure di salvaguardia del potere di acquisto per lavoratori e pensionati, noi siamo rimasti fermi. Anzi siamo anche andati indietro diventando il fanalino di coda del continente. E’ quindi necessario intervenire subito per garantire a ogni lavoratore almeno 9 euro all’ora di retribuzione, come indicato dalla Ue nel 2022. Cifra anche bassa, oggi, considerando l’esplosione dell’inflazione.
Il sistema pensionistico a ripartizione si regge, infatti, sulla contribuzione apportata dai giovani lavoratori ai pensionati. In Italia questo sistema è, oggi, compromesso da due problemi fondamentali: il primo è il salario minimo che manca, il secondo è il deterioramento del rapporto fra lavoratori e pensionati.
Gli effetti sulle pensioni
Ma torniamo al salario minimo. Come noto, l’Italia è rimasta molto indietro sul livello delle retribuzioni generali. Guadagniamo il 40% in meno dei francesi e il 60% in meno dei tedeschi che, al contrario, negli ultimi 10 anni hanno saputo adeguare le retribuzioni all’inflazione reale. In compenso, però, abbiamo più di mille tipologie di contratti di lavoro, ognuno dei quali nasconde insidie di vario genere per pagare il meno possibile la manodopera.
Siamo l’unico Paese in cui negli ultimi 40 anni i salari sono diminuiti in percentuale (-1,9%) anziché cresciuti. Nemmeno la Grecia o Cipro hanno saputo fare peggio di noi. E la produttività degli ultimi 10 anni è stata 9 volte più bassa della media Ue, siamo ultimi con la Grecia per tassi di occupazione e di lavoro nero.
L’introduzione del salario minimo porterebbe quindi notevoli benefici ai lavoratori italiani e, di consegneza, anche alle pensioni. Come sostiene da tempo Tridico
“fissare una soglia sotto la quale le retribuzioni non possono scendere aiuta a far crescere l’importo delle pensioni future dei giovani”.
Salario minimo e pensioni da fame
Ottenere una pensione dignitosa, pari a quella delle generazioni del secolo scorso, quindi, sarà impossibile se il livello delle retribuzioni resta basso. Tridico suggerisce al governo di introdurre al più presto il salario minimo per i lavoratori ed estinguere la piaga cronica del lavoro nero che coinvolge più di 3 milioni di persone.
In futuro, solo chi avrà alle spalle una carriera piena, continuativa e un lavoro degnamente retribuito potrà percepire una pensione sufficiente a campare. Oggi è possibile individuare tale soglia in 1.000 euro al mese. Livello che, però, non può essere sostenuto all’infinito con interventi assistenziali, ma dal lavoro regolare ed equamente pagato.
In sintesi, bassi livelli salariali non possono sostenere a lungo la spesa per le pensioni. Il nostro Paese – sottolinea Tridico – produce troppi pochi posti lavoro, e questo non è un problema di rigidità, o di ragazzi che non hanno voglia di lavorare, né un problema di sussidi che fanno stare sul divano.