La sfida già persa sull’IA in Europa è davvero solo colpa dei governi?

L'Europa ha già perso la sfida dell'IA, i governi non hanno fatto nulla, ma la classe imprenditoriale non sembra priva di colpe.
11 ore fa
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Le colpe dell'Europa sull'IA
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Si tiene oggi a Parigi l’AI Action Summit, un evento con cui la Francia di Emmanuel Macron intende “svegliare” l’Europa sul suo immenso ritardo accumulato sull’Intelligenza Artificiale (IA). Per pubblicizzare l’iniziativa il presidente si è preso gioco di sé da solo pubblicando video che lo ritraggono ora cantante e ora nelle vesti di MacGyver. Ci sarebbe da ridere, se non ci fosse da piangere. Il Vecchio Continente è rimasto così indietro su quello che ormai tutti considerano nel mondo il nuovo “salto tecnologico”, che recuperare appare al momento una missione quasi impossibile.

Su IA Europa rischia declino irreversibile

L’Europa sull’IA è nelle condizioni dell’Asia del diciottesimo secolo in piena rivoluzione industriale. Non tocchiamo palla e questo rischia di pesare sul futuro della nostra economia per i prossimi decenni o forse qualche secolo. C’è il rischio che gli standard di benessere raggiunti grazie al nostro spirito pionieristico dei secoli passati lascino il posto a un declino irreversibile.

Un po’ come la Spagna del Cinquecento, che dopo avere messo le mani sull’oro nel Nuovo Continente, iniziò a scomparire dalle pagine della storia per l’incapacità di sfruttare quelle immense risorse.

Europa inerme

All’indomani dal ritorno alla Casa Bianca, il presidente Donald Trump ricevette i big della Silicon Valley per varare il progetto Stargate da 500 miliardi di dollari. Esso prevede la creazione di centri dati e campus per l’addestramento dei modelli linguistici sfruttati da OpenAI e all’elaborazione delle queries inviate da coloro che utilizzano questi sistemi. La reazione dell’Unione Europea è stata di stanziare 750 milioni di euro per l’IA.

Non solo la cifra è con ogni evidenza ridicola, ma conoscendo come funzioni a Bruxelles, l’importo non basterà nemmeno a coprire le spese amministrative.

Non ci sono dubbi sul fatto che i governi abbiano responsabilità enormi sul ritardo dell’Europa in merito all’IA. Da decenni i bilanci comunitari, già di per sé magri, destinano la voce più significativa all’agricoltura. E le liti furibonde in sede di trattative continuano a riguardare il settore primario, mentre il mondo avanza nell’era post-industriale. Ci vantiamo di essere un’economia esportatrice, ma non ci diciamo che in buona parte lo siamo perché altre grandi economie come gli Stati Uniti posseggono una capacità di acquisto che a noi manca. In sostanza, la loro domanda interna è solida, la nostra eternamente asfittica.

E mentre sin dagli anni Settanta nei garage californiani si gettavano le basi per il boom della Silicon Valley, l’Europa si divertiva di gusto a iper-regolamentare tutto, dalla curvatura delle banane alla lunghezza dei cetrioli. Diventava gradualmente l’inferno di produttori e consumatori per soddisfare l’ego di una élite di burocrati arroganti e fuori da ogni realtà.

Imprese europee corresponsabili del declino

Tuttavia, la classe imprenditoriale è tutt’altro che priva di colpe. Anziché puntare sull’innovazione, ha approfittato della globalizzazione per comprimere i livelli salariali e competere con la Cina. Ha propagandato la necessità di importare bassa manovalanza dall’Africa e dall’Asia per pagare poco i lavoratori e pensare pseudo-furbescamente di diventare ancora più competitiva nel mondo. Non ha notato che nel frattempo gli avversari guardavano al futuro, puntando sulla robotica, consentendo loro di risparmiare sui costi attraverso l’innovazione tecnologica e di partire in vantaggio con l’offerta di nuovi prodotti e servizi. Da noi le imprese hanno, invece, delocalizzato tutti i processi di produzione, svendendo anche senza volerlo il know-how agli asiatici e restandone a corto.

Esistono fattori oggettivi che impediscono all’IA in Europa di decollare.

Forse il più macroscopico consiste nelle piccole dimensioni delle nostre imprese rispetto ai colossi americani e cinesi. Noi parliamo di Europa come se fosse una realtà unica, ma la verità è che resta l’insieme di decine di piccoli mercati con altrettante istituzioni nazionali. L’Unione Europea dovrebbe o sarebbe dovuta servire a farci compiere quello scatto per aggregarci e diventare più grandi, ma esistono evidenti limiti a tale approccio. Le differenze linguistiche sono e resteranno sempre una barriera alla creazione di un vero mercato unico. Non è parlando tutti bene l’inglese che si può sperare di abbattere questo muro che divide consumatori, imprese e persino i legislatori. Il resto lo fanno le diversità culturali, da un lato ricchezza e dall’altro limite alla nostra capacità di trasformarci in un unico mercato.

IA Europa, non solo scarsi investimenti

C’è forse qualcosa di ancora più spaventosamente negativo in questo ritardo dell’Europa sull’IA. Quando è emerso nelle settimane scorse che DeepSeek fosse stata creata con pochi spiccioli, indirettamente è venuta a galla tutta la pochezza di noi europei. Gli americani potrebbero aver sovra-investito e alimentato una bolla del settore, ma il nostro continente non è stato capace di trovare alternative low-cost, che Pechino (pur con notevoli dubbi) sventola autocompiaciuta. Non sono stati, quindi, solamente i pochi denari investiti ad averci catapultati nell’era delle caverne della tecnologia, quanto soprattutto l’assenza di visione. E quella non possono essere i governi a propinarla.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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