Short selling, cos’è e rischi e opportunità di una strategia ribassista

Lo "short selling" o vendita allo scoperto comporta rischi, ma anche benefici per chi ne fa uso e per l'intero mercato. Ecco come avviene.
9 anni fa
4 minuti di lettura

Abbiamo sentito spesso utilizzare nel mondo finanziario espressioni come “investire long” o “investire short”, o anche “andare lungo” o “andare corto” su un titolo. Ma vi siete mai chiesti cosa significano? Vi spieghiamo adesso in maniera sintetica e semplice quando e come avvengono le strategie “lunghe” e quando e come si utilizzano quelle “corte”. Un investimento “long” si ha, quando chi lo effettua ha una posizione rialzista su uno strumento finanziario. E’ forse la forma di investimento più comunemente nota ai non addetti ai lavori, anche perché è semplice da comprendere.

Un investitore è rialzista, quando punta sul rialzo del prezzo di un titolo, al fine di rivenderlo a un valore superiore rispetto a quello di acquisto, realizzando così una plusvalenza. Esempio: compro 1.000 azioni di una società X a 1 euro ciascuna e scommetto su un loro aumento di prezzo. Ipotizziamo che dopo 2 mesi, tali azioni valgano 1,20 euro ciascuna. L’investitore le rivenderà, se ritiene che non si verificherà alcun ulteriore aumento o se decide di accontentarsi del margine registrato, incassando così 1.200 euro, 200 in più di quanto speso per acquistarle.

Scommettere al ribasso, come funziona

In pochi sanno, però, che si possono fare affari, anche quando il corso di un titolo scende. Sembra un po’ complicato ragionare al contrario, ma tant’è. Si definisce investimento “short”, quello fondato sulla scommessa al ribasso di uno strumento finanziario. In pratica, l’investitore qui ritiene che un certo titolo sia sopravvalutato e spera di ottenere un profitto proprio dal presumibile calo del suo prezzo. Ma come riuscirà a guadagnarci sopra? Immaginiamo che il titolo di una società quotata valga oggi 1 euro e che un investitore, analizzando i suoi fondamentali, crede che sia destinato a scendere di prezzo. Pur in assenza della disponibilità materiale delle azioni della società, egli decide di venderne 1.000 ai prezzi di mercato, facendosele prestare da un broker (banca, altro intermediario), il quale pretenderà un certo tasso d’interesse, qualora l’operazione non si concluda in giornata, oltre alla commissione.

In questo modo, l’investitore incassa subito 1.000 euro, nella speranza di riacquistare la stessa quantità di titoli da riconsegnare al broker, ma a un prezzo inferiore. Se, per ipotesi, dopo un mese il corso delle azioni è sceso a 0,80 euro, l’investitore acquista sul mercato i 1.000 titoli per 800 euro (0,80 x 1000), realizzando un profitto di 200 euro, frutto della differenza tra quanto incassato e quanto speso successivamente. A tale profitto, però, andrà sottratto l’interesse dovuto al broker, che ha prestato non liquidità, bensì strumenti finanziari. Come avrete notato, in questo caso viene prima l’incasso e dopo la spesa.   [tweet_box design=”box_09″ float=”none”] Short selling non è il demonio della finanza, precede la realtà   [/tweet_box]  

Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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