Norme europee limitano lo short selling
Secondariamente, lo “short selling” è sì una scommessa al ribasso, ma come quella rialzista è basata sullo studio dei fondamentali. Non avrebbe senso scommettere al ribasso i miei soldi sul titolo di una società, che macina profitti sempre più elevati, anche in rapporto al suo valore di capitalizzazione in borsa. Quando si scommette al ribasso è perché si ha la presumibile convinzione che quel titolo sia sopravvalutato per una qualche ragione. E le posizioni nette corte e quelle nette lunghe permettono al mercato di capire quale sia la valutazione in una data fase degli investitori su un titolo.
Esempio: se aumentano le posizioni nette corte sul future per il Brent, mentre diminuiscono quelle nette lunghe, significa che gli investitori stanno abbassando le loro previsioni sui prezzi del greggio, scommettendo al ribasso. Ciò consentirà al resto del mercato di muoversi di conseguenza, evitando all’una e all’altra parte di rimanere scottata per un andamento futuro inatteso delle quotazioni. Eppure, la stessa legislazione europea ha
limitato la possibilità di ricorrere allo “short selling”, normandolo con la Regolamentazione UE 236/2012, in vigore dall’1 novembre del 2012. Essa prevede tra le altre cose il divieto di effettuare investimenti corti “nudi” sui titoli di stato e sui cds su emittenti sovrani, nonché l’obbligo di comunicare le posizioni nette corte alle autorità di vigilanza, qualora esse ammontino ad almeno lo 0,2% del capitale della società quotata emittente o quando esse siano pari ad almeno lo 0,5% del proprio capitale sociale.