Se vi dicessimo che il prossimo pericolo per l’economia globale dopo l’emergenza Covid si potrebbe chiamare “shrinkflation”, cosa rispondereste? Si tratta di un neologismo, un po’ come lo fu quasi mezzo secolo fa “stagflazione”. Negli anni Settanta, il termine coniugava due fenomeni che si pensava non potessero sussistere contemporaneamente: la stagnazione dell’economia e l’inflazione. Stavolta, siamo in presenza di un fenomeno un po’ meno evidente, ma non per questo poco serio per i consumatori.
In inglese, “shrink” significa “rimpiccolirsi” e “flation” chiaramente rimanda a “inflation”, per l’appunto “inflazione”.
Esempio di shrinkflation
Perché vi diciamo questo? Sebbene questa tecnica esista da tempo, in questi mesi starebbe diffondendosi tra i prodotti di largo consumo. Almeno negli USA, dove esiste un ricco resoconto dell’impatto che la “shrinkflation” starebbe avendo sui consumatori. Un’azienda ha deciso, ad esempio, di ridurre la larghezza della carta igienica da 4,5 a 4 pollici, cioè di poco più di un centimetro. Sembra niente, ma nei fatti il prezzo unitario è cresciuto così dell’11%.
Un’altra ha ridotto il contenuto di succo d’arancia inizialmente di quasi l’8% a 59 once (1,74 litri) e successivamente ancora a 52 once, cioè a 1,54 litri. Di fatto, il prodotto è diminuito di quasi il 12%, pari a un quinto di litro. E la Bryers ha, addirittura, tagliato da 64 a 48 once il peso del gelato, cioè di quasi mezzo chilo (-25%).
Cosa c’entra la “shrinkflation” con il Covid? L’emergenza sanitaria ha colpito particolarmente i redditi delle famiglie, a causa delle chiusure e delle limitazioni ai movimenti imposti dai governi per frenare i contagi. Al contempo, sui mercati esiste una liquidità a disposizione come mai prima. Ciò è dovuto al combinato tra maxi-stimoli fiscali e monetari, adottati da governi e banche centrali per sostenere l’economia e le categorie più direttamente colpite dalla pandemia. Negli USA, la Federal Reserve ha iniettato dal marzo 2020 oltre 4.600 miliardi di dollari di liquidità, mentre il Tesoro americano ha fatto la sua parte con aiuti per complessivi quasi 5.000 miliardi, a cui seguiranno ulteriori fondi nei prossimi mesi.
Rischio diffuso dopo la pandemia
Con altri numeri, sta accadendo lo stesso in Europa e Giappone. Questa situazione già sta creando pressioni rialziste sui prezzi alla produzione e al consumo. In parte, è naturale che accada dopo la lieve deflazione avutasi in buona parte del 2020. Ma il rischio che si possa perdere la stabilità dei prezzi esiste. Basta guardare ai mercati finanziari. Azioni, obbligazioni, ma anche materie prime e “criptovalute” esplosi a pandemia in corso, frutto in molti casi non dei fondamentali, bensì dell’impiego della liquidità in eccesso in assets all’infuori dall’economia reale.
Le aziende sanno, però, che aumentare i prezzi oggi risulterebbe impopolare e poco sostenibile per le tasche di gran parte delle famiglie. Da qui, il crescente ricorso alla “shrinkflation” per mascherare i rincari e renderli digeribili, se non proprio metabolizzabili. Certo, non tutti faremo caso subito a quanto ci accade al supermercato, ma gli istituti di statistica dovrebbero svelare con il tempo gli altarini. Essi monitorano l’andamento dei prezzi unitari, cioè per kg, litro o metro di prodotto.