La riforma del terzo settore in atto coinvolge alcuni enti no profit, tra cui le associazioni culturali. La confusione sul tema però è molta. Chiariamo subito che non significa che non si potrà più aprire un’associazione culturale e tanto meno che quelle esistenti saranno cancellate tout court. Tuttavia questa potrebbe non essere la scelta societarie più conveniente perché ci sono al vaglio alcune novità determinanti.
“Con alcuni amici del mio paese nelle montagne abruzzesi stiamo valutando la possibilità di aprire un’associazione culturale per organizzare eventi di valorizzazione del territorio. Proprio oggi però uno dei potenziali futuri soci ci ha detto di aver sentito da fonti ufficiali che dal prossimo anno non sarà più possibile aprire un’associazione culturale. E allora mi chiedo se ci conviene affrettarci oppure cambiare idea già da adesso. Se la notizia fosse fondata allora che fine fanno le associazione culturali già esistenti?”
Riforma terzo settore: perché se ne parla e le novità in arrivo
La riforma del terzo settore non è una novità assoluta.
Entro questa data le associazioni intenzionate ad adeguarsi con gli statuti devono iscriversi al RUNTS. Il vantaggio per chi lo fa nel 2023 è che sono previste delle modalità semplificate.
Oggi quindi è come se il terzo settore vivesse in un limbo in cui si trovano alcune tipologie di associazioni che continuano a esistere in un “triangolo delle Bermuda” legislativo. L’incompleta attuazione delle norme ha determinato questo bizzarro scenario che confonde molte persone.
In questo marasma troviamo l’associazione culturale. Esiste e continuerà a farlo. Tuttavia sta per perdere alcune delle agevolazioni che la rendevano tanto appetibile. Potrebbe quindi rivelarsi più conveniente valutare altre tipologie associative.
Il Registro Unico
La riforma non fa più riferimento esplicito alle associazioni culturali. Queste ultime vengono di fatto inglobate nella generica definizione delle APS (Associazioni di Promozione Sociale).
Come abbiamo accennato sopra, cosa che vale la pena ribadire anche in risposta al nostro lettore, nessun ente è obbligato al passaggio al terzo settore però in alcuni casi la mancata trasformazione comporta la perdita di importanti benefici fiscali.
Ebbene questa analisi vale anche per le associazioni culturali, che il legislatore ha eliminato dall’art. 148 del TUIR in seguito all’approvazione dell’art. 89 del d.lgs 117/2017.
La semi scomparsa
Ecco perché, a proposito del destino delle associazioni culturali, parliamo di semi scomparsa.
L’articolo 89 del Codice del Terzo Settore ha rimosso dall’elenco dell’articolo 148 del TUIR le seguenti categorie:
- associazioni culturali;
- associazioni di promozione sociale;
- associazioni di formazione extra-scolastica della persona.
A queste, dunque, non sarà più permesso di considerare di natura non commerciale le seguenti voci di entrata:
- Corrispettivi specifici versati dai propri soci o partecipanti, dagli associati o partecipanti di altre associazioni o dai tesserati alle rispettive organizzazioni nazionali, per prendere parte ad attività organizzate dall’associazione nella realizzazione delle finalità dichiarate (art.148, comma 3, TUIR). Vi rientrano, ad esempio, le quote di partecipazione a corsi ed attività;
- Vendita di proprie pubblicazioni a soci e non soci anche se la cessione avviene prevalentemente agli associati. Esempio tipico quello dell’associazione che stampa e diffonde un periodico sociale destinato prevalentemente, ma non in via esclusiva, agli associati.
Nel post riforma queste attività saranno commerciali.
Fino a quando sarà possibile aprire un’associazione culturale?
Quindi a chi ci chiede se nel 2023 è ancora possibile aprire un’associazione culturale rispondiamo che sulla carta lo è assolutamente. Diverso il discorso quando ci addentriamo nella questione della convenienza. A oggi le associazioni culturali godono ancora di queste agevolazioni fiscali ma le cose stanno cambiando.
Quando diventerà operativo l’art. 89 del d.lgs 117/2017 le associazioni culturali si troveranno ad un bivio. O continuano a restare al di fuori del terzo settore ma senza tutti i benefici fiscali che finora hanno concesso la de-commercializzazione delle attività sopra specificate o si iscrivono al RUNTS previo adeguamento dello statuto come richiesto dal legislatore.
E quale strada prendere allora?
Chi ha superato gli “enta” o gli “anta” ricorderà le vecchie storie al bivio di Topolino. Quale strada prendere? Vediamo meglio vantaggi e svantaggi dell’iscrizione al RUNTS.
Pro e contro: e i benefici fiscali?
Non esiste una decisione migliore a priori. La scelta va valutata caso per caso. Primo aspetto già anticipato è che le associazioni culturali non iscritte al Registro Unico perdono la qualifica di ETS (Enti del Terzo Settore) e saranno in automatico regolamentate dalla normativa Tuir (Testo Unico delle Imposte sui Redditi – DPR 22 dicembre 1986, n. 917) ancora oggi in vigore in materia di enti non commerciali. L’esclusione fa perdere i benefici fiscali della non commercializzazione. Attenzione essere iscritti come ETS non significa automaticamente ottenere i benefici della non commercializzazione. La discriminante resta comunque il tipo di attività prevalente.
I costi dell’iscrizione al Registro Unico
Prima di iscriversi però bisogna considerare alcuni aspetti. In primis l’aumento dei costi legati all’adeguamento dello Statuto.
Ad esempio se l’associazione è stata costituita con atto costitutivo e statuto redatti mediante scrittura privata registrata, anche le eventuali successive modifiche dovranno recare la stessa forma, quindi andranno registrate all’Agenzia delle Entrate.
L’ente del Terzo Settore iscritto al Registro Unico dovrà redigere un bilancio vero e proprio su modello messo a disposizione dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Il documento dovrà poi essere depositato presso il Registro Unico.
Esempio pratico di calcolo di tasse
Per concludere facciamo un esempio pratico di attività commerciale svolta da un’associazione culturale nell’ipotesi di iscrizione e non al RUNTS. Ipotizziamo un fatturato annuo di 100 mila euro.
Scenario con iscrizione al RUNTS
Se l’ente si qualifica come non commerciale (qualora questa non sia l’attività prevalente e quindi sempre escluse le imprese sociali), la sua collaterale attività commerciale sarà tassata nel modo seguente:
- coefficiente di redditività pari al 7% sotto i 130.000 € di ricavi;
- coefficiente di redditività pari al 10% tra 130.001 a 300.000 € di ricavi;
- coefficiente di redditività pari al 17% superiori ai 300.001 € di ricavi.
Va anche specificato che questo regime agevolato non impone limiti di dimensioni: un’associazione ETS potrebbe teoricamente anche fatturare milioni di euro e comunque beneficiare del coefficiente di redditività del 17%.
Scenario di NON iscrizione al RUNTS
L’associazione non iscritta al runts rientra nel regime forfettario ex art. 145 TUIR (che resterà l’unico regime agevolato disponibile, visto che la L. 398/1991 resterà solo per le associazioni diverse dalle associazioni sportive dilettantistiche) e quindi le imposte saranno calcolate così:
- coefficiente di redditività pari al 15% fino a 15.494 €;
- coefficiente di redditività pari al 25% fino a 400.000 €.