Il governo Meloni si accinge a lanciare sul mercato un nuovo titolo di stato, con il fine di attirare maggiori capitali tra i risparmiatori domestici per finanziare le emissioni di debito pubblico. La Banca Centrale Europea (BCE) ha chiuso i rubinetti degli acquisti dopo quasi un decennio. Mentre i deficit dello stato rimangono elevati – attesi a una novantina di miliardi di euro per quest’anno – il peso degli investitori stranieri si assottiglia. Il nuovo bond avrebbe caratteristiche di estrema convenienza sul piano fiscale, del rendimento e giuridico.
Entrambi ritengono che più il debito pubblico sia in mani italiane, minore il rischio speculativo contro i nostri titoli di stato. Ed in fondo è vero, seppure non aprioristicamente. Il sistema Italia ha interesse a tenere sotto controllo la stabilità finanziaria. Banche, assicurazioni e fondi d’investimento domestici non avrebbero alcuna convenienza a segare l’albero sul quale sono seduti. I piccoli investitori, poi, non hanno generalmente finalità speculative. E se anche le avessero, non sposterebbero masse di capitali nel quotidiano.
A debito pubblico serve brusca frenata
Mentre il governo studia il BTp “patriottico”, sarebbe opportuno che guardasse ad alcuni dati relativi al debito pubblico. Tra il 2020 e l’ottobre scorso, lo stock è cresciuto di quasi 200 miliardi di euro. Nello stesso arco di tempo, la quota in mano ai residenti è salita di 222 miliardi e quella in mano agli investitori stranieri è scesa di quasi 25 miliardi. Questo significa una sola cosa: il sistema Italia non solo non ha mollato lo stato, ma ha accresciuto le sue esposizioni verso di esso. Certo, ciò è avvenuto essenzialmente grazie alla finanza, che inizia a inviare segnali di stress.
Non è sbagliato pensare che una maggiore quantità di capitali domestici debba finanziare il debito pubblico, a patto che si preveda contestualmente una frenata alla crescita di quest’ultimo. Ancora quest’anno, a causa dei costi legati al contrasto al caro bollette, il deficit fiscale è atteso dal governo al 4,5% del PIL. Alla fine del 2025, stando alla Nota di Aggiornamento al Documento di economia e finanza (NADEF) di novembre, il debito pubblico sfiorerà i 3.050 miliardi di euro, restando sopra il 141% del PIL. Questo significa che sarà cresciuto di quasi 500 miliardi in cinque anni e oltre 800 miliardi in dieci anni.
A questi ritmi, il problema non è che gli italiani acquistino poco debito pubblico nazionale, ma che questi cresce a una velocità inafferrabile. Ben vengano i titoli di stato mirati alle famiglie, molte delle quali restano a lungo liquide e che, in alternativa, avrebbero modo di mettere a frutto i risparmi. Ma ciò non sia una scusante per continuare a macinare deficit su deficit confidando che il sistema Italia continui a tenere a galla i conti dello stato.