Gennaio è sempre un mese particolarmente positivo per i mercati obbligazionari. A inizio anno, la liquidità nei portafogli degli investitori si mostra più elevata e la domanda riesce ad assorbire emissioni più grosse e a costi minori. E il 2021 non sta facendo eccezione, anzi per effetto dell’estremo accomodamento monetario della BCE, i governi dell’Eurozona stanno potendo indebitarsi a tassi che un tempo non si sarebbero neppure permessi di sognare. Mercoledì è stata la volta di Austria, Slovenia e Grecia. Questi ultimi due stati hanno in comune davvero poco, se non di condividere la moneta unica.
E i rating sovrani riflettono bene la differenza tra le due condizioni fiscali: AA-/A/A3 per la prima, BB-/BB/Ba3 per la seconda. Il debito sloveno è classificato da tutte le principali agenzie di valutazione come altamente sicuro, quello ellenico come “spazzatura”, cioè “non investment grade”, sebbene entro la fine di quest’anno o del prossimo, confidano gli analisti, grazie al sostegno della BCE il paese mediterraneo dovrebbe essere in grado di riacciuffare con almeno una delle tre principali agenzie il rating “investment grade”.
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La cuccagna dei mercati
L’altro ieri, la Slovenia ha raccolto sul mercato 2 miliardi di euro attraverso un bond a 60 anni, vale a dire con scadenza marzo 2081. La cedola offerta è stata dello 0,6875% e il prezzo di emissione si è attestato poco sotto la pari, a 99,388 centesimi, esitando un rendimento lordo annuo dello 0,70%, +75 punti base sopra il tasso “midswap”, 3 in meno della “guidance”. Gli ordini sono stati pari a 4 miliardi, il doppio dell’importo offerto. Il paese alpino si era spinto già con le lunghe scadenze, arrivando ad emettere un bond a 50 anni.
Nelle stesse ore, la Grecia riusciva ad attirare sui mercati ordini fino a 25 miliardi per il suo nuovo bond a 10 anni. Alla fine, ha raccolto 3,5 miliardi, più del 2,5 miliardi ipotizzati alla vigilia. Record minimo per il rendimento, sceso allo 0,80%, una decina di punti base sopra quello del decennale negoziabile sul mercato secondario. Per il 2021, il Tesoro di Atene punta a raccogliere tra gli 8 e i 12 miliardi. In realtà, non avrebbe alcun bisogno di farlo, disponendo al dicembre scorso di liquidità per 34 miliardi di euro, quasi una ventina di punti di PIL. Tuttavia, il paese intende approfittare dei tassi bassissimi di questa fase per fare incetta di cash e mostrarsi quanto più resiliente possibile agli shock nei prossimi anni, specie dal 2023, quando scatteranno i pagamenti degli interessi e del capitale sui prestiti elargiti dai partner dell’Eurozona e che incidono per circa l’80% del debito pubblico totale.
Certo, i contribuenti greci pagano sul nuovo decennale meno di quanto pagheranno gli amici sloveni per un titoli di 50 anni più duraturo. Ma se pensiamo che Atene abbia un debito di due volte e mezzo più alto e che sia reduce da tre salvataggi internazionali tra il 2010 e il 2015, non potrebbero lamentarsi affatto. E dire che senza le tensioni politiche italiane avrebbero potuto spuntare probabilmente condizioni ancora migliori.
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