Smart working di diritto per chi ha figli minori, cosa prevede il decreto Rilancio

Lo smart working diventa un diritto per chi ha figli fino a 14 anni. La misura è valida sino al termine dell’emergenza, ma potrebbe diventare definitiva.
5 anni fa
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Lo smart working diventa un diritto per chi ha figli al di sotto dei 14 anni di età. Lo stabilisce il decreto Rilancio che consente ai dipendenti privati di lavorare da casa fino al termine del periodo di emergenza.

Si tratta di una misura temporanea estesa fino al 31 luglio 2020 ma che, secondo indiscrezioni, potrebbe essere prorogata di altri sei mesi. Ma l’obiettivo tacito è quello di rendere il lavoro agile strutturale e definitivo, visto il risparmio di costi per i datori di lavoro e l’innalzamento del livello di produttività dei dipendenti.

Smart working per conciliare lavoro e famiglia

Così il lavoro in ufficio potrà presto cambiare e diventare lavoro da casa anche in assenza di accordi sindacali. Sarà con ogni probabilità il legislatore, una volta appurato che, con o senza Covid-19, il lavoro nel settore terziario e della pubblica amministrazione potrà essere svolto il modalità agile grazie alla tecnologia e alla connessione internet di cui dispongono aziende e amministrazioni pubbliche. Tutto sarà quindi regolamentato ed entrerà a far parte di nuovi standard produttivi e organizzativi del personale, soprattutto femminile che risulta maggiormente compatibile con le esigenze familiari. Lo Stato, d’altro canto, potrà risparmiare immense risorse in termini di congedi parentali, bonus, malattia, permessi, ecc.

Smart working per chi ha figli al di sotto di 14 anni

Ma torniamo al decreto Rilancio. Per ora il diritto è concesso a tutti coloro che hanno figli di età inferiore ai 14 anni e riguarda solo il settore privato. La richiesta va presentata al proprio datore di lavoro purché il lavoro svolto sia compatibile con il ruolo e le caratteristiche della prestazione. Si pensi, ad esempio, agli impiegati amministrativi dell’ufficio personale o ai funzionari di back office di una banca o ai centralinisti. Ma anche ai tecnici informatici di rete che possono lavorare comodamente da remoto o ai manutentori che si avvalgono di sistemi digitali per controllare macchine e impianti.

Con la Fase 2, del resto, la richiesta e necessità di smart working sarà maggiore e si stima che potranno essere coinvolti anche 6-7 milioni di addetti in tutta Italia. Nella Fase 1, la metà delle aziende era chiusa e quindi hanno lavorato da casa “solo” 2 milioni di lavoratori.

Una azienda su quattro ha fatto ricorso allo smart working

Alla prova del lockdown, una impresa su quattro è arrivata, almeno in parte, preparata: il 24,6% delle imprese italiane, infatti, ha investito nell’adozione di sistemi di smart working per innovare il proprio modello organizzativo aziendale tra il 2015 al 2019. Il dato, che emerge dal bollettino annuale del Sistema informativo Excelsior di Unioncamere e Anpal, è cresciuto rispetto al 2018 (23,5%) e segue un trend di incremento consistente, destinato probabilmente a conoscere una ulteriore impennata nel prossimo futuro. Non tutti i settori, ovviamente, si sono potuti adattare all’introduzione del lavoro agile nella stessa maniera. L’ambito più ricettivo è quello delle public utilities (luce, acqua, gas) in cui il 34,7% delle imprese ha dichiarato di aver investito in smart working, a seguire quello dei Servizi (25,5%), l’Industria (22,5%) e fanalino di coda, come facilmente immaginabile, le Costruzioni (19,9%).

Mirco Galbusera

Laureato in Scienze Politiche è giornalista dal 1998 e si occupa prevalentemente di tematiche economiche, finanziarie, sociali

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