È stato uno dei simboli assoluti del periodo di pandemia. E, per inciso, uno dei più controversi. Chi lo ha apprezzato, augurandosi di poter continuare così anche dopo la fine dell’emergenza, e chi invece lo ha visto come un’ulteriore distorsione del concetto di normalità. Soprattutto nelle relazioni umane. Lo smart working, o lavoro agile che dir si voglia, ha inevitabilmente detto la sua per quel che riguarda il mondo del lavoro e, soprattutto, le sue modalità di svolgimento e organizzazione.
Smart working, come funziona per i Ministeri
Una conferma, a ben vedere, della polarizzazione tra favorevoli e contrari. Con una bilancia che pende dalla parte di questi ultimi (visti anche i costi). Non sarebbe esatto, però, dire che dal dl arrivato in estate sia stato del tutto estromesso il discorso del lavoro agile. Anzi, in realtà si è cercato di dare nuove regole, senza tuttavia riuscire a inquadrare il tutto in una normativa adeguata e, soprattutto, generalizzata. Il risultato, al netto della mancata proroga, è stata una pianificazione a macchia, con variazioni da Ministero a Ministero, almeno per quel che riguarda la Pubblica amministrazione. Tutto fa riferimento ai cosiddetti Piani integrati di attività e organizzazione (Piao) che, però, sono per definizione differenti a seconda dell’ufficio.
Viminale e buoni pasto
Il nodo è semplice e riguarda perlopiù gli enti che utilizzano lo smart working in modo strutturale. Ad esempio il Ministero del Lavoro che, a tal proposito, ha istituito un limite alle giornate di lavoro da remoto: massimo tre a settimana, anche per i lavoratori con malattie gravi. E lo stesso vale per chi abita a distanza considerevole dal luogo di lavoro e per i genitori con figli fino a 14 anni di età. Regole che, a ogni modo, non hanno scoraggiato i dipendenti a fruire della possibilità di sganciarsi dall’ufficio: al 31 dicembre 2021, infatti, su 1.878 dipendenti addirittura il 73,48% aveva svolto attività da remoto. Per altri Ministeri, il tutto funziona in modo diverso. Ad esempio, per quello dell’Interno è rimasto il nodo gordiano dei buoni pasto. Il Viminale, infatti, non ne prevede la maturazione nel momento in cui il lavoratore svolge la propria attività da casa. E lo stesso vale per le indennità di trasferta e le prestazioni straordinarie. In pratica, chi lavora a casa resta a secco alla mensa dell’ufficio (e non solo). Dettaglio da non trascurare se ci si dovesse cucinare qualcosa da soli…