Società di comodo: pochi pregi e tanti difetti

Le società di comodo sono spesso viste come sinonimo di raggiro al fisco. Si tratta di una conclusione frutto di imprecisione e superficialità. Una piccola guida che analizza tecnicamente vantaggi e svantaggi delle società di comodo
13 anni fa
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Per definizione del legislatore le società di comodo sono quelle società che la normativa presume non siano operative e risultino costituite solo a scopi elusivi. Alle società di comodo viene obbligatoriamente attribuito un reddito minimo.

L’introduzione nel nostro ordinamento delle cosiddette società di comodo, da parte dell’articolo 30 della Legge 23 dicembre 1994, n. 724, risponde all’esigenza di disporre di uno strumento atto a disincentivare l’utilizzo delle società commerciali quale mero contenitore di beni di particolare valore (immobili, barche, autovetture ecc.) che, di solito, sono concessi in uso ai soci.

Per raggiungere tale obiettivo, si aumenta la pressione fiscale su tali società obbligandole a dichiarare un reddito minimo calcolato in funzione dei valori di tali beni.

Pertanto, le società non operative divengono un modo come un altro per tassare il possesso dei predetti beni.

Ma se, per tale via, venissero colpiti esclusivamente i beni fittiziamente intestati alle società, lo scopo sarebbe, almeno da un punto di vista morale, pienamente condivisibile. Il fatto è che, invece, si finisce per tassare l’intero patrimonio di questi soggetti, senza distinzione tra la parte fittizia e quella funzionale all’attività in concreto svolta.

Così, da norma nata per tassare i beni che si vuole nascondere, le società di comodo si trasformano in una palese forma di imposizione patrimoniale.

 

Società di comodo normativa: le ultime novità 

Questa impressione trova conferma nelle novità introdotte con il DL 138 2011 che hanno aggiunto nuove ipotesi di non operatività delle società commerciali e aumentato l’IRES dovuta sul reddito minimo da dichiarare.

Sul versante bilancistico, occorre valutare le conseguenze che la gestione ordinaria può provocare in termini di operatività/non operatività della società.

Infatti, con il vecchio test, la non operatività può dipendere sia dai pochi ricavi, sia dal possesso di taluni beni, ma con le nuove regole si può essere di comodo anche in caso di perdite conseguite in tre periodi diimposta consecutivi o quando il triennio registra due anni in perdita e nel terzo anno si sia dichiarato un reddito inferiore a quello minimo previsto dall’art.

30 della Legge 724/94.

Da un lato, pertanto, vengono colpite anche le società che non fungono affatto da contenitore per determinati beni e dall’altro, i differenti parametri presi in considerazione si concentrano principalmente sui risultati ottenuti dalla gestione.

Vero è che il debutto delle novità introdotte con il D.L. 138/2011 avverrà soltanto a partire dal periodo di imposta 2012, ma il triennio di riferimento da monitorare, per verificare l’eventuale non operatività, va dal 2009 al 2011. Il risultato dell’esercizio 2011 può dunque influire direttamente sul carico fiscale del 2012, anche perché le nuove norme si applicano pure per il calcolo degli acconti dovuti per il medesimo periodo di imposta. Con l’articolo 30 della L. 724/94 si vorrebbero colpire quelle società che, pur disponendo di una certa struttura, non producono redditi sufficienti e quindi possono presumersi non attive. Tenuto conto di ciò, il meccanismo disegnato dalla disciplina delle società di comodo dovrebbe essere applicabile ai soli beni che non servono per produrre i prodotti o servizi commercializzati dalla società, ma il legislatore non pone alcuna distinzione di tal genere. Non fa differenza, insomma, che l’auto posseduta dalla società sia un bolide di lusso o una semplice utilitaria.

Le recenti modifiche alla disciplina delle società non operative, tutte incentrate su una maggiore attenzione ai risultati conseguiti, non fanno che acuire tale effetto negativo.

 

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