La solita storia dei BTp con rendimenti più alti dei bond in Grecia

Torna l'italica auto-fustigazione sui rendimenti in Grecia più bassi di quelli offerti dai BTp. Ecco come stanno davvero le cose.
2 anni fa
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Rendimenti Grecia più bassi dei BTp

Negli ultimi giorni, i quotidiani economici (e non solo) italiani hanno riportato la notizia che i titoli di stato italiani sono tornati ad offrire rendimenti più alti di quelli in Grecia. Un trend certamente non piacevole, dato che il confronto avviene con un paese dell’euro sostanzialmente fallito anni fa. Questi titoli in prima pagina fanno un po’ paura, perché rimarcano la situazione complicata del nostro debito pubblico. Allo stesso tempo, è necessario iniziare a mettere ordine su un argomento che rischia altrimenti solo di alimentare un inutile pessimismo sulle condizioni fiscali dell’Italia.

Rischio sovrano percepito più basso che in Italia

I rendimenti in Grecia risultano a tratti inferiori a quelli italiani ormai da anni e sotto governi di ogni colore politico. Persino quando a Palazzo Chigi vi era Mario Draghi, amatissimo dai mercati finanziari, i “sirtaki” bond batterono i BTp. E non per questo qualcuno s’immaginava che il rischio sovrano a Roma fosse più alto che ad Atene. O meglio, così sembrerebbe anche guardando ai CDS a 5 anni, i titoli che tutelano dal rischio default. Ma il discorso è ben più complesso.

Per prima cosa, il confronto non avviene quasi mai tra scadenze omologhe. La Grecia emette bond col contagocce da quando è tornata a rifinanziarsi sui mercati negli ultimi anni. E così, ad esempio, l’attuale decennale scade nel giugno 2023, mentre in Italia nel dicembre 2032. In alcune fasi, la distanza temporale è stata anche di 12 mesi o più a favore della Grecia. Naturale che i rendimenti di Atene siano un po’ più bassi, a parità di tutto il resto.

Debito Grecia in mano all’Europa

Ma il vero motivo della presunta sconfitta dei BTp è un altro. La Grecia disponeva alla fine di ottobre di liquidità per 38 miliardi di euro, sufficiente a fronteggiare le sue scadenze per i prossimi due anni.

Essa deriva perlopiù dai prestiti erogati dai governi europei nel 2015 con il terzo “bail-out” e rimasti inutilizzati. Dunque, il mercato è consapevole che quand’anche il Tesoro di Atene subisse una crisi fiscale imprevista, possederebbe le risorse per onorare i debiti nel breve e medio termine.

Inoltre, a fronte di un rapporto debito/PIL ancora vicino al 200%, le esposizioni verso i creditori privati sono molto basse, pari a circa 95 miliardi di euro, qualcosa come meno del 50% del PIL. Per i tre quarti, esse si hanno verso i creditori pubblici europei. Cosa significa? La stragrande maggioranza dei debiti ellenici è sotto controllo per il semplice fatto che è nelle mani dei governi dell’Area Euro. Sono nei fatti sottratti al mercato e, in caso di difficoltà, basta rinegoziarne le condizioni finanziarie a Bruxelles per evitare una crisi fiscale.

Grazie ai prestiti a lunghissima scadenza elargiti dall’Europa, il debito in Grecia ha una durata media ponderata di 18 anni contro i poco più di 7 dell’Italia. E non dobbiamo dimenticare che nella primavera del 2012, la Grecia ristrutturò il suo debito sovrano, tagliandolo di 107 miliardi. Le perdite furono tutte a carico del settore privato, il quale adesso crede che non sarebbe chiamato a contribuire per la seconda volta in caso di necessità. Eventualmente, l’onere ricadrebbe sui governi europei, cioè sui prestiti bilaterali ed erogati tramite i fondi EFSF/ESM.

Rendimenti Grecia giù in caso di upgrade

E ancora: il rating ellenico è “non investment grade”, ma da qui al medio termine dovrebbe risalire in area “investment grade” per almeno una delle principali agenzie internazionali. A quel punto, accadranno due cose: la prima è che i fondi d’investimento potranno tornare a inserire in portafoglio i bond della Grecia; la seconda, che la BCE potrà acquistare questi ultimi all’interno del suo programma di riacquisti legati al “quantitative easing”, pur se depotenziato dal marzo prossimo per effetto della riduzione del bilancio.

Tutte queste peculiarità fanno sì che ad oggi paradossalmente i rendimenti in Grecia siano più bassi di quelli italiani sulla percezione di un minore rischio di credito. Ma ciò non è dovuto al fatto che Atene se la passi meglio di Roma – se dovesse pagare tutto il debito ai tassi di mercato, avrebbe conti pubblici ben peggiori – quanto allo stato di assistenza a lunghissimo termine di cui gode da parte dell’Unione Europea tramite prestiti a condizioni di estremo favore. Per quanto faccia notizia, dovremmo smetterla di auto-fustigarci confrontando i bond dei due paesi. La Grecia non è confrontabile con nessun paese europeo ormai da almeno una dozzina di anni.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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