In questi giorni, alcuni pensionati stanno ricevendo lettere dall’INPS che richiedono la restituzione di somme indebitamente percepite. Nella comunicazione, l’oggetto è generalmente l’accertamento sulle somme indebitamente percepite sulla pensione.
Come specifica l’INPS nella lettera, questa richiesta segue alcune verifiche effettuate dall’Istituto stesso, dalle quali sono emerse somme che il pensionato ha percepito indebitamente durante un determinato periodo.
Nella stragrande maggioranza dei casi, l’indebito nasce da quella che l’INPS definisce “Ricostituzione reddituale per sospensione art.
Se da questo calcolo emerge che il pensionato ha ricevuto più del dovuto, l’INPS richiede la restituzione dei soldi. Tuttavia, esistono delle soluzioni. Ecco cosa può fare, per esempio, una nostra lettrice:
“Mi chiamo Nunzia ed ho appena ricevuto la comunicazione con cui l’INPS mi chiede la restituzione di 1.291 euro per somme indebitamente percepite sulla mia pensione dal primo gennaio 2019 al 31 dicembre 2023. Prendo un assegno sociale di 690 euro al mese e non capisco come ho generato questo debito. D’altronde non sono stata io a richiedere queste somme. L’INPS mi ha inviato il bollettino PagoPA e pretende tutti i soldi entro 30 giorni. Se non pago cosa succede? Possono pignorare la mia pensione?”
Somme indebite sulla pensione, minimo vitale e pignoramento della pensione: i chiarimenti
La lettera dell’INPS è esattamente come la presenta la nostra lettrice. Infatti, l’INPS invia ai pensionati un bollettino di pagamento e richiede la restituzione in unica soluzione delle somme indebitamente percepite. Nella maggior parte dei casi, il pagamento deve essere effettuato perché effettivamente dovuto. Se il ricalcolo dell’INPS alla luce dei nuovi redditi comunicati è corretto, al pensionato spetta una pensione più bassa, rendendo legittima la richiesta dell’INPS.
L’errore può dipendere dal pensionato, che potrebbe non aver segnalato tempestivamente eventuali redditi aggiuntivi che incidono sul calcolo della pensione, oppure dalle comunicazioni reddituali o dalle dichiarazioni dei redditi che hanno prodotto una ricostituzione con un trattamento più basso riconosciuto.
Il pensionato, e quindi la nostra lettrice, dovrebbe seguire le istruzioni e provvedere al pagamento degli importi, utilizzando l’avviso di pagamento PagoPA come previsto dall’articolo 5, comma 2, del Decreto Legislativo numero 82 del 2005 e dall’articolo 65, comma 2, del Decreto Legislativo numero 217 del 2017, entro 30 giorni dalla ricezione della notifica.
Cosa chiede l’INPS al pensionato e come rientrare del debito
Nella stessa lettera, l’INPS informa che, se il pensionato non ha disponibilità economica o desidera una soluzione meno onerosa, può concordare un piano di recupero, chiedendo la rateizzazione dei pagamenti dovuti, ma deve farlo sempre entro i 30 giorni successivi alla notifica. In alternativa, può scegliere la via della contestazione, opponendo reclamo entro 90 giorni. In questo caso, si tratta di un autentico ricorso amministrativo al Comitato Provinciale.
Non pagare l’avviso può comportare serie conseguenze, specialmente per chi non promuove ricorso e non richiede la dilazione di pagamento, ovvero per chi non fa nulla. L’INPS può decidere di recuperare gli importi trattenendo le somme indebitamente percepite dai ratei di pensione futura. Generalmente, può scegliere di recuperare poco alla volta il suo credito, ma segnalazioni dei nostri utenti dimostrano che a volte l’intero rateo mensile di pensione viene congelato.
Ci sono, tuttavia, regole precise sui pignoramenti delle pensioni. Tra limite non pignorabile, minimo vitale e il quinto classico, esistono regole che, tuttavia, spesso non sono applicate come molti credono sia obbligatorio. Inoltre, recentemente sono state aggiornate le tabelle sul limite massimo del pignoramento delle pensioni, sebbene il riferimento non riguardi solo i debiti di un pensionato nei confronti dell’INPS, ma debiti in genere.
Pignoramento della pensione: ecco cosa cambia quando il creditore è l’INPS
In linea di massima, quando si parla di pignoramento della pensione, bisogna considerare che va sempre salvaguardato il cosiddetto minimo vitale.
Uno degli strumenti più usati da un creditore nei confronti di un debitore pensionato è proprio il pignoramento della pensione. Tramite questo strumento, una parte della pensione viene trattenuta al pensionato e girata al creditore a parziale soddisfazione del suo credito. Il taglio prosegue fino a quando il creditore non è del tutto soddisfatto, ovvero fino alla copertura totale del credito vantato.
Si tratta del noto pignoramento presso terzi, con cui l’INPS viene obbligata a trattenere dei soldi alla fonte e quindi a girarli al soggetto creditore. Togliendoli così dalla disponibilità del pensionato indebitato. Se invece il creditore è l’INPS stessa, parlare di pignoramento presso terzi non è possibile. L’INPS può autonomamente decidere di trattenere una parte della pensione a soddisfazione del suo credito, nato dalle somme indebitamente percepite dal pensionato.
Non tutte le pensioni possono essere pignorate
In genere, il pignoramento è limitato solo a una parte della pensione. Infatti, non tutta la pensione può essere oggetto di pignoramento a causa del citato minimo vitale. Al pensionato deve essere lasciato ciò che serve per garantire il mantenimento di una vita dignitosa.
Generalmente, la parte di pensione non pignorabile è il doppio della pensione sociale e si può trattenere solo un quinto della parte eccedente. Tuttavia, se il creditore è un soggetto diverso dall’INPS e se il titolare del trattamento riceve l’assegno sociale o un altro strumento non previdenziale ma assistenziale, il pignoramento non può scattare per legge.
In pratica, solo la pensione ottenuta sfruttando i contributi può essere pignorata. I trattamenti assistenziali no. Tuttavia, sulle somme indebitamente percepite sulla pensione, l’INPS può trattenere anche un assegno sociale.
Alla nostra lettrice, quindi, salvo che non abbia documenti che attestano come l’errore nell’erogazione degli importi della pensione non sia dipeso da sua colpa, la via più ottimale è quella della richiesta di dilazione, per evitare di dover pagare tutto insieme il debito. Solo in caso di errore accertato e di responsabilità piena dell’INPS, la richiesta di restituzione può essere annullata, utilizzando gli strumenti per presentare ricorso come detto in precedenza.