Gli ultimi sondaggi pubblicati prima del “blackout” scattato venerdì scorso rilevano piccole differenze rispetto ai dati delle settimane passate. Le possiamo così riassumere: Fratelli d’Italia e Movimento 5 Stelle consolidano i consensi, PD e Lega flettono. Più in giù nella classifica, Forza Italia e Azione sarebbero sostanzialmente alla pari. E appare nitida una lettura sopra ogni altra: i partiti che si stanno rifacendo espressamente alla cosiddetta Agenda Draghi, complessivamente restano sotto il 30%. In altre parole, il clima di lutto nazionale che imperava sui giornali per settimane dopo la caduta del governo, non sembra trovare alcun riscontro nel famoso Paese reale.
M5S recupera ai danni del PD
Sorprende il recupero del Movimento 5 Stelle, che in piena estate dopo avere provocato le dimissioni del premier, era dato dai sondaggi sotto la soglia del 10%. Stando alle ultime rilevazioni, si attesterebbe invece intorno al 15%. E sarebbero tutti voti strappati al PD di Enrico Letta, che arretrerebbe verso il 20%. Un riequilibrio a sinistra, che peserà dopo le elezioni. Chi al Nazareno pensava che, dopo la probabile sconfitta, sarebbe stato agevole riallacciare il dialogo con i “grillini”, anche in virtù di una preponderante disparità di forze tra i due partiti a favore del PD, potrebbe essere costretto a rivedere i piani.
Giuseppe Conte sta risalendo la china, scavalcando la Lega di Matteo Salvini, puntando sul Sud e, in particolare, su due temi cari all’elettorato, non esclusivamente meridionale: reddito di cittadinanza e Superbonus. Il PD sta cercando da settimane di spostarsi a sinistra per recuperare i consensi perduti negli anni, ma sembra un’operazione tardiva, se non rocambolesca. L’attacco di Letta al Jobs Act rischia di rivelarsi un boomerang per l’immagine dei dem. In pratica, il segretario ammette che la riforma del lavoro del suo partito avrebbe portato precarietà e incertezza.
Agenda Draghi non identitaria
Letta è rimasto, poi, privo delle pregiudiziali anti-Meloni. Il PD ha abbandonato i toni apocalittici per il caso di vittoria del centro-destra, riconoscendo l’inesistenza del “pericolo fascista”. Un cambio di atteggiamento seguito all’isolamento in cui il Nazareno si stava cacciando, con Carlo Calenda e lo stesso Conte ad attaccarlo pubblicamente sulla demonizzazione dell’avversario, definita operazione ridicola. Peraltro, il probabile ingresso di Giorgia Meloni a Palazzo Chigi sembra essere stata digerita dai mercati e dagli ambienti della City, segno che la posizione di Letta sia stata poco condivisa anche negli ambienti finanziari.
Per quanto in ascesa nei sondaggi, neppure il duo Renzi-Calenda farebbe faville. I principali esponenti dell’Agenda Draghi non sfondano. Gli elettori hanno ben altre esigenze che non quella di stracciarsi le vesti per la “cacciata” del premier. E, soprattutto, nessun italiano ha realmente compreso in cosa consista tale agenda, nata dall’annacquamento delle opposte istanze dei partiti. Insomma, rifarsi all’Agenda Draghi significa rinunciare a proporre una visione identitaria in campagna elettorale, l’esatto contrario di quel che serve per prendere voti.