Nella lunga diatriba attorno alla convenienza di un eventuale ritorno dell’Italia alla lira, il tema della sovranità monetaria è diventato di moda, per quanto siano in pochi a mostrare di padroneggiarlo. Uno stato che batte moneta sarebbe in grado di risolvere meglio i suoi problemi, disponendo della leva del cambio per rinvigorire le esportazioni e, quindi, l’economia nazionale, così come della possibilità di stampare più banconote per ripagare i debiti e calmierarne i costi. Un toccasana, insomma, almeno per quanti si siano scoperti “sovranisti” con la crisi dello spread dal 2011 in poi.
In questi giorni, se ve ne fosse stato ancora bisogno, c’è l’ennesima prova che sovranità monetaria potrebbe essere un’espressione in sé vuota di significativo, se non è fondata sulla fiducia dei cittadini per la loro moneta nazionale. Parliamo dello Zimbabwe, uno stato dell’Africa sud-occidentale, così lontano da noi, da sembrare forse inopportuno persino parlarne, ma che, invece, ci impartisce da anni lezioni gratis su quello che mai un governo dovrebbe fare. (Leggi anche: Sovranità monetaria? Corsa agli sportelli e paura dell’iperinflazione)
Emessa una nuova moneta locale, cittadini spaventati
Da lunedì, il presidente Robert Mugabe, 92-enne, ha disposto di stampare cosiddetti “bond notes”, ovvero strumenti finanziari utili per i pagamenti, il cui cambio contro il dollaro USA è stato fissato 1:1. Dunque, un bond note da un dollaro locale varrebbe un dollaro USA, secondo lo stato.
La decisione è stata adottata per risolvere la crisi di liquidità nel paese, che dal 2009 non possiede più una propria moneta, dopo avere subito il flagello dell’iperinflazione, scatenata dalle stamperie della banca centrale, nel tentativo di finanziare le spese del governo, a fronte di un’economia al collasso. Da sette anni, quindi, lo Zimbabwe regola i pagamenti al suo interno con dollari USA per la maggior parte delle transazioni, ma anche rand, euro, sterlina, yen, etc.